1. La ricorrente P.R. propone ricorso per cassazione, affidato a un solo articolato motivo, avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 284/2020 pubblicata il 23-6-2020 e notificata in data 24-6-2020, con cui è stato rigettato il suo appello e confermata la sentenza non definitiva n. 13/2020 del Tribunale di Trieste con la quale era stato dichiarato lo scioglimento del matrimonio tra la ricorrente e B.P.F. ed era stata rigettata la domanda di P.R. diretta a conservare, in aggiunta al proprio cognome, quello dell’ex marito. B.P.F. resiste con controricorso.
2. Con unico articolato motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e successive modificazioni, censurando, sotto un primo profilo, la sentenza impugnata con riguardo alla sussistenza del suo interesse a conservare il cognome dell’ex marito, in particolare per non avere la Corte di merito considerato che detto cognome era divenuto parte integrante dell’identità personale, sociale e di vita di relazione della ricorrente, che da oltre 25 anni, ossia ben oltre la metà della sua esistenza, era conosciuta nella città ove vive (Trieste) solo con il cognome dell’ex marito. Inoltre, lamenta che la Corte d’appello abbia immotivatamente screditato le prove documentali offerte e non abbia ammesso la prova testimoniale richiesta anche in appello. Sotto altro profilo deduce che la Corte di merito ha errato anche nel non considerare l’assenza assoluta di pregiudizio per il marito dall’utilizzo del cognome di quest’ultimo da parte della ricorrente, persona socialmente stimata e apprezzata.
3. Il motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Premesso che, trattandosi di fattispecie inerente lo status, non può trovare applicazione, contrariamente a quanto eccepito dal controricorrente, il principio della cd. doppia conforme ex art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, ritiene il Collegio che la ricorrente, sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge, solleciti, in realtà, un riesame del merito e una nuova valutazione dei fatti allegati, che in dettaglio sono stati scrutinati dalla Corte di merito facendo applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte sul tema oggetto del contendere.
3.2. Secondo l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, ai sensi dell’art. 143 bis c.c. l’aggiunta del cognome maritale è un effetto del matrimonio circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio. L’eccezionale deroga alla perdita del cognome maritale è discrezionale e richiede la ricorrenza del presupposto dell’interesse meritevole di tutela dell’ex coniuge, come è dato inferire dalla disciplina dettata dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 3, in tema di divorzio, ove è detto “Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli fletti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela”. Tale disciplina è frutto del principio cui l’ordinamento familiare è ispirato e che privilegia la coincidenza fra denominazione personale e status, sicché la possibilità di consentire con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, è da considerarsi una ipotesi straordinaria affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale, ma che non possono coincidere con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica. Nè può escludersi che il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare, esercitando un diritto fondamentale a mente dell’art. 8 C.E.D.U., un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare attuale, anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente. La valutazione della ricorrenza delle circostanze eccezionali che consentono l’autorizzazione all’utilizzo del cognome del marito è rimessa al giudice del merito giacché “di regola non è ammissibile conservare il cognome del marito dopo la pronuncia di divorzio, salvo che il giudice di merito, con provvedimento motivato e nell’esercizio di poteri discrezionali, non disponga diversamente.” (cfr. Cass. 21706/2015; Cass. 3869/2019; Cass. 3435/2020).
3.3. La Corte territoriale, attenendosi a questi criteri, ha ritenuto, motivatamente, che: i) nessun interesse davvero meritevole di tutela fosse stato allegato dalla ricorrente al mantenimento del cognome maritale unitamente al proprio, non potendo detto interesse identificarsi con quello derivante dalla notorietà dell’ex marito; ii) non vi fosse riscontro, nelle allegazioni e nelle istanze di prove, dell’assunto secondo cui il cognome maritale costituiva espressione dell’identità personale dell’ex moglie; iii) la documentazione allegata evidenziasse la spendita del cognome dell’odierna ricorrente accanto a quella dell’ex marito e i capitoli di prova formulati fossero generici e non diretti a dimostrare l’esistenza di un interesse concreto ed eccezionale ad utilizzare il cognome maritale. A fronte di detto chiaro e lineare percorso argomentativo, la ricorrente si limita a contrapporre la propria ricostruzione fattuale a quella, difforme, effettuata dalla Corte di merito, censura l’interpretazione e la valutazione probatoria della documentazione prodotta e la selezione delle prove, che sono riservate al giudice di merito (tra le tante Cass. 21187/2019) e infine si duole dell’omessa ammissione della prova testimoniale senza neppure riprodurne i capitoli, difettando così la censura, in parte qua, anche di auto sufficienza (Cass.19985/2017).
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020). Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro6.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto. Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
- Famiglia- Rapporti personali- Divorzio e divieto utilizzo cognome marito.
- Cod. Civ. art. 7, Cod. Civ. art. 143 bis CORTE COST., Legge 01/12/1970 num. 898 art. 5 com. 2 CORTE COST., Legge 01/12/1970 num. 898 art. 5 com. 3 CORTE COST., Legge 01/12/1970 num. 898 art. 5 com. 4 CORTE COST..
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