In questo articolo faremo una panoramica normativa e giurisprudenziale dell’intervento in causa di terzi. L’intento è quello di esporre tutti i concetti essenziali e di schematizzarli in modo chiaro e semplice.

1. La nozione

L’intervento è l’ingresso di un soggetto in un processo già pendente tra altre parti, quando sussistono adeguate ragioni di collegamento fra le cause, esso può avvenire in due modi:

  • volontario: effettuato spontaneamente dal terzo;

  • coatto: su chiamata di una delle parti o del giudice.

2. La fonte dell’intervento

L’intervento può quindi essere richiesto/proposto da 3 distinti soggetti:

Volontario del terzo
ex art 105 c.p.c

su istanza di parte
ex art. 106 c.p.c.

per ordine del giudice
ex art. 107 c.p.c.

3. Le tipologie di intervento volontario

L’intervento volontario, ex art. 105 c.p.c., prevede che:

  • Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo [c.c. 704, 974, 1015, 1113; c.p.c. 111].

  • Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse [c.p.c. 100, 246, 344]

Tale intervento volontario può quindi essere di 3 tipi:

  • 1 principale: Il terzo fa valere un diritto proprio nei confronti di tutte le parti ed in contrasto con i loro diritti.
    Sostanzialmente, l’accoglimento della sua domanda è incompatibile con l’accoglimento delle domande delle parti principali.

  • 2 adesivo autonomo: il terzo fa valere un diritto autonomo nei confronti di una parte, e aderisce alla posizione processuale di una delle altre parti.
    Si realizza, quindi, una convergenza di interessi fra il terzo e una delle parti in causa.

  • 3 adesivo dipendente: Il terzo non è titolare di un autonomo diritto soggettivo, ma sostiene le ragioni di una delle parti quando vi ha un proprio interesse, e con le medesime ragioni o titoli.

Il vantaggio comune è quello di veder analizzata la propria posizione in modo contestuale alle altre, evitando così possibili contrasti tra giudicati.

3.1 Le modalità dell’intervento

Gli artt. 267 268 c.p.c. disciplinano le modalità di costituzione del terzo interveniente:

  • Per intervenire nel processo a norma dell’articolo 105, il terzo deve costituirsi presentando in udienza o depositando in cancelleria una comparsa formata a norma dell’articolo 167 con le copie per le altre parti, i documenti e la procura [c.p.c. 83; disp. att. c.p.c. 3].
  • Il cancelliere dà notizia [c.p.c. 136] dell’intervento alle altre parti, se la costituzione del terzo non è avvenuta in udienza [c.p.c. 170].
  • L’intervento può aver luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni.
  • Il terzo non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte, salvo che comparisca volontariamente per l’integrazione necessaria del contraddittorio.

4. L’intervento su istanza di parte

Ciascuna parte, ex art. 106 c.p.c., può:

  • chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa [c.c. 1012]
  • o dal quale pretende essere garantita [c.c. 1485, 1917, 1953, n. 1; c.p.c. 32, 108, 111, 167].

Nel caso in cui l’istanza sia proposta:

  • dal convenuto: a pena di decadenza, dovrà farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell’art. 163-bis.
  • dall’attore: sarà possibile solo ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, ne sia sorto l’interesse.

4.1 Le modalità della chiamata

L’art. 269 c.p.c. dispone inoltre che:

  • Alla chiamata di un terzo nel processo a norma dell’art. 106, la parte provvede mediante citazione [c.p.c. 163] a comparire nell’udienza fissata dal giudice istruttore ai sensi del presente articolo, osservati i termini dell’art. 163-bis.

Per approfondimenti leggi le 2 formule didattiche:

5. L’intervento per ordine del giudice

Il giudice, ex art. 107 c.p.c., quando:

  • ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l’intervento.

Inoltre, ex art. 270 c.p.c.:

  • La chiamata di un terzo nel processo a norma dell’articolo 107 può essere ordinata in ogni momento dal giudice istruttore per una udienza che all’uopo egli fissa.
  • Se nessuna delle parti provvede alla citazione del terzo, il giudice istruttore dispone con ordinanza non impugnabile [c.p.c. 177] la cancellazione della causa dal ruolo [c.p.c. 307]

Per approfondimenti leggi le 2 formule didattiche:

Quesiti giurisprudenziali

Di seguito una breve selezione di massime risolutive, suddivise per argomenti.

I. Intervento principale

Il diritto che, ai sensi dell’art. 105, comma primo, cod. proc. civ., il terzo può far valere in un giudizio pendente tra altre parti, deve essere relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia, da individuarsi con riferimento al “petitum” ed alla “causa petendi”, ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria, restando irrilevante la mera identità di alcune questioni di diritto, la quale, configurando una connessione impropria, non consente l’intervento del terzo nel processo (Sez. U, Sentenza n. 10274 del 05/05/2009 – Rv.60815001).

Ai fini dell’intervento principale o dell’intervento litisconsortile nel processo, anche se l’articolo 105 cod. proc. civ. esige che il diritto vantato dall’interveniente non sia limitato ad una meramente generica comunanza di riferimento al bene materiale in relazione al quale si fanno valere le antitetiche pretese delle parti, la diversa natura delle azioni esercitate, rispettivamente, dall’attore in via principale e dal convenuto in via riconvenzionale rispetto a quella esercitata dall’interveniente, o la diversità dei rapporti giuridici con le une e con l’altra dedotti in giudizio, non costituiscono elementi decisivi per escludere l’ammissibilità dell’intervento, essendo sufficiente a farlo ritenere ammissibile la circostanza che la domanda dell’interveniente presenti una connessione od un collegamento con quella di altre parti relative allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare un simultaneo processo, particolarmente allorchè la tutela del diritto vantato dall’interveniente sia incompatibile con quella vantata dall’una e/o dall’altra delle parti originarie. (Sez. 3, Sentenza n. 13557 Del 12/06/2006 – Rv.59065701).

Per l’ammissibilità dell’intervento di un terzo in un giudizio pendente tra altre parti è sufficiente che la domanda dell’interveniente presenti una connessione od un collegamento implicante l’opportunità di un “simultaneus processus”. In particolare, la facoltà di intervento in giudizio, per far valere nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse un proprio diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto in causa, deve essere riconosciuta indipendentemente dall’esistenza o meno nel soggetto che ha instaurato il giudizio della “legitimatio ad causam”, attenendo questa alle condizioni dell’azione e non ai presupposti processuali. (Sez. 2, Sentenza n. 27398 del 28/12/2009 – Rv.61072601).

Chi interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand’anche sia ormai spirato il termine di cui all’art. 183 cod. proc. civ. per la fissazione del “thema decidendum”; né tale interpretazione dell’art. 268 cod. proc. civ. viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio: infatti l’interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre – ove sia già intervenuta la relativa preclusione -nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell’istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare (Sez. 3, Sentenza n. 25264 del 16/10/2008 – Rv.60524301).

La formulazione della domanda costituisce l’essenza stessa dell’intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall’art. 268 cod. proc. civ. non si estende all’attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento “fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”, configurandosi solo l’obbligo, per l’interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie. (Sez.3, Sentenza n. 15787 del 28/07/2005 – Rv. 58339401).

II. Intervento adesivo autonomo

Ai fini della ammissibilità dell’intervento del terzo come autonomo e non adesivo è sufficiente che la domanda dell’interveniente presenti una connessione o un collegamento con quella di altre parti relativa allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare il simultaneo processo. Ne consegue che è ammissibile l’intervento della banca creditrice la quale, al fine di far accertare la simulazione assoluta di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, abbia esercitato, nel giudizio promosso ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. dal promissario acquirente, un’azione dichiarativa di nullità, consentita a chiunque ne abbia interesse, con lo scopo di rimuovere l’apparenza giuridica del negozio invalido, dalla cui esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. sarebbe derivata la sottrazione di un rilevante cespite del patrimonio del debitore alle garanzie previste dall’art. 2740 cod. civ. Sez. 6, Ordinanza n. 6703 del 23/03/2011 – Rv. 61694901).

Il diritto che, a norma dell’art. 105, primo comma, cod. proc. civ., il terzo può far valere in un processo pendente tra altre parti, in conflitto con esse (ipotesi nella quale si configura un intervento principale) o solo con alcune di esse (ipotesi di intervento litisconsortile o adesivo autonomo), legittimante l’autonoma impugnazione della sentenza che abbia statuito in senso sfavorevole alla parte adiuvata, a differenza dell’intervento meramente adesivo, escludente tale legittimazione, – deve essere relativo all’oggetto, ovvero dipendente dal titolo, e, quindi, individuabile rispettivamente con riferimento al “petitum”, o alla “causa petendi”. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile il ricorso proposto dalla CGIL nei confronti della sentenza che aveva accolto la domanda di un legale – diretta ad ottenere il pagamento delle competenze in relazione all’attività difensiva da lui svolta in un giudizio nei confronti dell’INPS per la rivalutazione della pensione di reversibilità – giudicando di tipo litisconsortile l’intervento spiegato nel giudizio promosso dal professionista dalla stessa CGIL, la quale aveva sostenuto la tesi secondo la quale quest’ultimo non avrebbe potuto pretendere il pagamento richiesto, avendo operato per oltre venti anni in regime di convenzionamento con la confederazione, in virtù di un patto alla stregua del quale egli avrebbe dovuto fornire gratuitamente assistenza legale agli iscritti ed ai cittadini che si rivolgessero alle strutture del sindacato) Sez. L, Sentenza n. 10530 del 01/06/2004 – Rv. 57334601).

III. Intervento adesivo dipendente

L’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti ex art. 105 comma secondo cod. proc. civ. deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere – solo in via indiretta o riflessa – pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa. Pertanto, i soci di una cooperativa sono portatori di un interesse che legittima il loro intervento “ad adiuvandum” nella lite tra la società e l’appaltatore, per il pagamento del corrispettivo dell’appalto del fabbricato sociale, i cui appartamenti sono destinati, in conformità dello scopo statutario, ad essere assegnati in proprietà ai soci, sui quali viene a gravare, in definitiva, il costo degli immobili (Sez.2, Sentenza n. 12758 del 23/12/1993 -Rv. 48484001)

L’intervento adesivo dipendente, previsto dall’art. 105, secondo comma, cod. proc. civ., da luogo ad un giudizio unico con pluralità di parti nel quale la pronuncia che lo definisce non può che essere la stessa rispetto alla parte principale e all’interveniente, i poteri del quale sono limitati all’espletamento di un’attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell’ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte; conseguentemente, se le parti del giudizio principale pongono termine al rapporto processuale, ovvero, per rinuncia od acquiescenza delle stesse, la lite cessa di esistere, l’interveniente non ha il potere di far proseguire il processo, ne’, per il caso di rinuncia, è necessaria la sua accettazione, non essendo configurabile un suo interesse alla prosecuzione del giudizio alla stregua della previsione dell’art. 306, primo comma, cod. proc. civ.. Sez. L, Sentenza n. 6309 del 04/07/1994 – Rv. 48728001)

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