A.A. convenne davanti al Tribunale di Torino la Presidenza del Consiglio dei Ministri per chiederne la condanna al risarcimento dei danni patiti a seguito dei reati violenti e intenzionali subiti previo accertamento della responsabilità dello Stato italiano per omessa attuazione della Direttiva 2004/80/CE che impone agli Stati dell’Unione di garantire un “adeguato” ed “equo” ristoro alle vittime dei reati. A base della domanda espose di essere stata vittima del reato di violenza sessuale e lesioni commessi da B.B. accertati con sentenza penale di condanna passata in giudicato, e che vantava un diritto soggettivo ad ottenere un indennizzo ai sensi della Direttiva 2004/80/CE, dovuto nonostante l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di attuazione della direttiva. Indicava l’ammontare dell’indennizzo nella misura di Euro 400.000.
Il Ministero convenuto venne dichiarato contumace.
Il Tribunale adito rigettò la domanda ritenendo che fosse rimasta inaciernpiuta la prova della sussistenza del nesso causale tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi, in quanto, anche qualora lo Stato avesse provveduto alla tempestiva attuazione della direttiva, in ogni caso non sarebbe stata soddisfatta una delle condizioni poste dalla normativa per ottenere l’indennizzo e cioè la dimostrata impossibilità di esercitare la pretesa nei confronti del responsabile dei reati in quanto incapiente o non identificato, e cioè la prova dell’insolvenza del responsabile.
Dunque la prova del nesso causale implicava il previo accertamento della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali, in caso di adempimento dell’Italia all’obbligo di dare attuazione alla direttiva comunitaria, l’attrice avrebbe ottenuto il dovuto risarcimento, non potendo la prova ritenersi in re ipsa e nemmeno fondata su presunzioni.
A seguito di appello della soccombente, la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 17/12/2018, ha dato atto del superamento della inadempienza dello Stato italiano per avere il medesimo dato finalmente esecuzione alla direttiva Europea con una prima L. 7 luglio 2016 n. 122 poi modificata dalla L. 20 novembre 2017 n. 167; ha tuttavia rilevato che le predette leggi non hanno eliminato la condizionalità richiesta del previo esperimento dell’azione risarcitoria nei confronti dell’autore del reato, salvo i casi in cui l’autore sia rimasto ignoto o abbia chiesto ed ottenuto l’ammissione al gratuito patrocinio. L’esecuzione della Direttiva è stata data con effetto retroattivo e con efficacia generale, estensibile cioè non solo ai casi cd. transfrontalieri ma a tutte le ipotesi di violenza, con l’estensione della tutela a tutti, a prescindere dalla residenza. La corte ha ritenuto che si tratti di indennizzo e non di risarcimento e dunque di una riparazione che prescinde dalla sussistenza di un responsabile e che la stessa è sussidiaria rispetto alle ipotesi in cui la danneggiata non abbia potuto ottenere il risarcimento del danno dall’autore del reato nel caso in cui questi non sia identificato o sia incapiente. E’ rimasta, pertanto, quale condizione per accedere alla tutela indennitaria, la preventiva infruttuosa escussione dell’autore del reato e dunque l’esperimento di un’azione esecutiva infruttuosa nei confronti dell’autore della violenza.
Conclusivamente la Corte, non ritenendo soddisfatta la suddetta condizione, ha rigettato l’appello, compensando le spese.
Avverso la sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due articolati motivi.
Ha resistito la Presidenza del Consiglio con controricorso.
La causa è stata dapprima assegnata per la trattazione in adunanza camerale presso la sesta sezione e, con ordinanza intericicutoria, rinviata alla pubblica udienza al fine di verificare gli effetti dello ius superveniens, costituito dalle leggi sopravvenute, sulla permanente sussistenza dell’interesse al ricorso.
La causa giunge ora all’esame di questa Sezione Terza.
II P.G. ha depositato le proprie conclusioni nel senso dell’accoglimento del ricorso.
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione ex art. 360, 1 co. punto 3 della Direttiva 2004/80/CE in merito all’interpretazione fornita sulla sussistenza dell’inadempimento grave e manifesto dello Stato italiano. Assume che, essendo la sua doglianza volta a far constare l’inadempimento dello Stato italiano per tardiva esecuzione della direttiva, vada cassato il capo di sentenza che ha ritenuto irrilevante la questione in conseguenza della retroattiva applicazione delle normative di esecuzione sopravvenute. Ad avviso della ricorrente le obbligazioni dello Stato italiano erano due: una volta a dare esecuzione alle direttive, l’altra a creare un sistema nazionale di tutela e riparazione contro gli autori di violenze, per evitare che gli effetti esclusivamente transfrontalieri della direttiva potessero determinare un vulnus al principio di eguaglianza e non discriminazione. Se dunque le obbligazioni erano due, anche a seguito dell’entrata in vigore delle norme di esecuzione della direttiva, rimarrebbe certamente ineseguita la seconda obbligazione e, comunque, permarrebbe l’interesse processuale della ricorrente ad ottenere tutela per gli effetti negativi ad essa derivanti dal ritardo con cui lo stato italiano ha adempiuto ai propri obblighi internazionali.
Il motivo è fondato. Occorre innanzitutto precisare che la domanda di risarcimento del danno nei confronti dello Stato per omessa o tardiva attuazione della direttiva fa sorgere in capo allo stato membro una responsabilità di natura contrattuale. L’accesso, in base a normativa sopravvenuta, ai benefici previsti dal diritto dell’Unione in base ad una legge interna, tardivamente emanata dallo stato membro, non sana l’inadempimento pregresso e non determina la cessazione della materia del contendere in relazione alla già proposta questione del danno da inadempimento. Rimane dunque l’interesse dell’appellante a una risposta in ordine al danno conseguente alla tardiva attuazione della direttiva.
In tal senso si è già espressa questa Corte in analoga fattispecie, Cass., 3, n. 26757 del 24/11/2020, (conf. Cass., 3, n. 26302 del 29/9/2021) secondo la quale: “In tema di illecito Eurounitario dello Stato, alle vittime di reati intenzionali violenti commessi in Italia spetta il risarcimento del danno per tardiva trasposizione dell’art. 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80/CE, che impone agli Stati membri, con riguardo ai cittadini UE e con riferimento ai fatti verificatisi nei rispettivi territori, di riconoscere alle stesse vittime un indennizzo “equo, ed adeguato”; tale risarcimento va ricondotto allo schema della responsabilità “contrattuale” per inadempimento dell’obbligazione “ex legè dello Stato ed il criterio parametrico basilare per la sua valutazione e liquidazione, al di là dell’eventuale sussistenza di un maggiore pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale, è costituito dall’ammontare dell’indennizzo che la vittima avrebbe avuto “ab origine” come bene della vita garantito dall’obbligo di conformazione del diritto nazionale alla Direttiva non tempestivamente attuata.
Per converso, il menzionato indennizzo ex art. 12, paragrafo 2, citato, concerne una prestazione indennitaria stabilita dalla legge come effetto dell’attuazione di obblighi derivanti dalla partecipazione dello Stato all’UE e prescinde dalla ricorrenza degli elementi costitutivi dell’illecito il quale, nel sistema della responsabilità civile, di fonte sia contrattuale che aquiliana, si pone, invece, come indefettibile presupposto per la liquidazione del danno”.
Da quanto esposto consegue che la decisione della Corte d’Appello di ritenere sanato l’inadempimento pregresso dello Stato con l’entrata in vigore delle specifiche leggi di attuazione contrasta con la giurisprudenza di questa Corte ed anche con quanto affermato dalla Corte di Giustizia secondo la quale il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che il regime di responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro per danno causato dalla violazione di tale diritto è applicabile per il motivo che tale Stato membro non ha trasposto in tempo utile l’art. 12, par. 2 della Direttiva 2004/80 nei confronti di vittime residenti in detto Stato membro, nel cui territorio il reato intenzionale violento sia stato commesso.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione ex art. 360, 1 co. punto 3 della Direttiva 2007/80/CE in merito all’interpretazione dell’obbligatorietà del previo esperimento della procedura esecutiva nei confronti del reo quale necessario requisito per l’accesso all’indennizzo.
Contesta il capo di sentenza con cui la corte di merito ha ritenuto sussistere una condizionalità per l’accesso alla tutela indennitaria costituita dal previo e vano esperimento della tutela risarcitoria nei confronti del responsabile del reato. Ad avviso della ricorrente la tesi, oltre a contrastare con la logica della disciplina che non può che prevedere un favor per il danneggiato, contrasta anche con l’interpretazione letterale dei diversi considerando di cui consta la norma comunitaria cui si è data attuazione. Inoltre la tesi contrasta anche con la necessaria partecipazione del danneggiato ad un’azione esecutiva che potrebbe rivelarsi onerosa e lunga, oltre ad essere contraddittoria rispetto ad altre previsioni normative di segno contrario quali, ad esempio, quella relativa all’indennizzo statale per vittime di reati violenti di stampo mafioso e/o terroristico che prevedono l’elargizione diretta da parte dello Stato di somme anche molto importanti, quale Euro 200.000, senza nessuna preventiva escussione del reo o dimostrazione della sua incapienza. Lo Stato italiano avrebbe, dunque, ad avviso della ricorrente, dovuto semplicemente estendere a tutte le vittime di reati intenzionali violenti il medesimo sistema indennitario già previsto per le vittime “speciali” della criminalità organizzata o di terrorismo ma evidentemente ha preferito dolosamente non farlo. Inoltre, in base al criterio della vicinanza della prova, lo Stato si troverebbe in una condizione assai più agevole rispetto al danneggiato per fornire informazioni circa le condizioni patrimoniali del reo sicchè, anche in base a tale diverso ordine di argomenti, occorrerebbe escludere l’esistenza di alcuna condizionalità.
Anche tale motivo è fondato.
La circostanza che la legge nazionale abbia introdotto la condizione del preventivo infruttuoso esperimento dell’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato, se rileva quanto all’azione diretta ad ottenere l’indennizzo ai sensi della normativa interna non rileva però quanto alla verifica della corretta attuazione della direttiva dell’Unione. E’ utile al riguardo ricordare che “il considerando 10 della direttiva a mente del quale le vittime del reato, in molti casi non possono ottenere un risarcimento dall’autore del reato in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o persuguito pone in rilievo come la ratio della direttiva stessa sia rappresentata dalla necessità di ovviare alle oggettive difficoltà che la vittina di reato intenzionale violento può incontrare nel conseguire il risarcimento del danno patito, in conseguenza di fattori diversi attinenti alla persona del reo (privo di risorse economiche sufficienti, non indivicluabile o non perseguibile) come statuito da Cass., n. 26757 del 202C. Sussiste dunque il vizio dedotto con il secondo motivo in quanto il presupposto del richiesto risarcimento non è il preventivo ed infrud:uoso esperimento dell’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato, bensì l’esistenza, appunto, di una “oggettiva difficoltà” nel conseguire il risarcimento, e ciò sulla base di “fattori diversi” tra i quali anche l’assenza di “risorse economiche sufficienti” in capo al medesimo- desumibili da una serie di indicatori esposti nel ricorso secondo quanto richiesto dalla direttiva. Vale d’altro canto rilevare che, nel momento in cui la domanda è stata proposta, ovvero prima dell’emanazione della norma interna, tale condizione non era prevista e quindi non era esigibile quale condizione per la proposizione della domanda.
(I giudice del rinvio, all’esito di riesame sulla base dei principi fissa:i, determinerà anche il quantum risarcibile.
Conclusivamente il ricorso va accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese.
- COMUNITA' EUROPEA - DIRETTIVE - IN GENERE Tardiva trasposizione dell'art. 12, paragrafo 2, Direttiva 2004/80/CE - Domanda di risarcimento del danno - Entrata in vigore della legge di attuazione - Cessazione della materia del contendere - Esclusione - Fondamento..
- Direttive del Consiglio CEE 29/04/2004 num. 80 art. 12 com. 2, DM Interno 31/08/2017, DM Interno 22/11/2019, Legge 07/07/2016 num. 122 art. 11, Legge 07/07/2016 num. 122 art. 12, Legge 20/11/2017 num. 167 art. 6, Legge 30/12/2018 num. 145 art. 1 com. 593 CORTE COST. PENDENTE, Legge 30/12/2018 num. 145 art. 1 com. 594 CORTE COST. PENDENTE, Cod. Civ. art. 1218, Cod. Civ. art. 2043 CORTE COST., Cod. Civ. art. 2056, Cod. Civ. art. 2059 CORTE COST.
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