1. Con ricorso proposto il 24.11.2020 D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 A.A. e B.B. si sono rivolti al Tribunale di Napoli nei confronti della GEDI – Gruppo Editoriale Spa (di seguito, semplicemente, GEDI), editore del quotidiano “(Omissis)”, nella sua qualità di titolare del trattamento dei dati personali, allegando: di essere stati indagati e sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari (fino al 16.12.2003) per i reati di concussione, peculato e falso ideologico di pubblico ufficiale in atto pubblico, giusta ordinanza del GIP di Napoli eseguita il 23.10.2003, nonchè sottoposti a perquisizione domiciliare; di essere stati assolti in primo grado con sentenza del Tribunale di Napoli del 6.6-30.8.2012 perchè il fatto non sussisteva in relazione a tutti i capi di imputazione; che, dopo la rinuncia all’impugnazione da parte del Pubblico Ministero, la sentenza di assoluzione del 28.2.2018 era passata in giudicato il 7.6.2018; di aver ottenuto l’indennizzo per l’ingiusta detenzione subita, composto dalla somma di Euro 6.485,05 per il tempo trascorso agli arresti domiciliari e dalla somma di ulteriori Euro 10.000,00 per il danno d’immagine per le notizie ampiamente riportate dalla stampa relativamente al loro arresto; che l’ing.A.A. all’epoca dei fatti era un libero professionista, stimato e apprezzato fin dal 1965, lavorava spesso con Pubbliche Amministrazioni e importanti società private, con la qualifica di progettista e/o direttore dei lavori e ricopriva il ruolo di assessore ai lavori pubblici presso il Comune di Torre del Greco; che il geom. B.B. era uno stimato dirigente pubblico del Comune di Ercolano; che l’indagine e l’arresto dei ricorrenti avevano ricevuto una ampio eco nei mezzi di informazione perchè l’accusa nei loro confronti riguardava presunte attività corruttive per la realizzazione del parcheggio degli scavi di Ercolano, con conseguente grave irreparabile danno di immagine dei ricorrenti, esposti alla gogna mediatica; che anche il quotidiano “(Omissis)” aveva dedicato grande Spa zio a tale vicenda di cronaca giudiziaria con svariati articoli (pubblicati in data 24.10.2003, 25.10.2003, 26.10.2003) delle edizioni cartacee ancora tutti presenti nell’archivio on line del quotidiano “(Omissis)”; di avere scoperto a settembre 2019 che i loro nomi sui più comuni motori di ricerca erano ancora associati a tali avvenimenti del lontano ottobre 2003 e che vi erano dei siti, e più precisamente l’archivio online dell’agenzia di stampa ADN Kronos e del quotidiano “(Omissis)”, dove vi erano numerosi articoli che riportavano la notizia del loro arresto, senza nessuna menzione della loro assoluzione nel 2012 e del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di appello; di aver chiesto l’immediata cancellazione di tali articoli dall’archivio on line dell’ADN Kronos e del giornale “(Omissis)” ai rispettivi editori e titolari del trattamento dei dati personali; che, mentre l’ADN Kronos aveva immediatamente rimosso gli articoli, nessuna risposta era pervenuta da parte della GEDI. Tanto premesso, i due attori hanno chiesto di accertare la violazione da parte di GEDI delle norme in tema di trattamento dei loro dati personali; di ordinare la cancellazione degli articoli dall’archivio del sito del quotidiano “(Omissis)”; in via subordinata, che tali articoli venissero resi non più accessibili dai motori di ricerca attraverso la loro deindicizzazione e resi accessibili esclusivamente dal motore di ricerca del sito www.repubblica.it con la contestuale “pseudonomizzazione” dei loro identificativi, unitamente all’aggiornamento del loro contenuto attraverso l’inserimento delle sentenze di assoluzione di primo e secondo grado e dell’ordinanza di ingiusta detenzione; di condannare la società GEDI al risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura di Euro 10.000,00 o veriore.
Costituendosi in giudizio, GEDI ha contestato in toto la fondatezza della domanda e ne ha chiesto il rigetto, sostenendo: che i tre articoli erano stati pubblicati una sola volta nell’edizione cartacea del quotidiano “(Omissis)” nelle date del 24, 25 e 26 ottobre 2003 e successivamente erano stati inseriti nell’archivio cartaceo e telematico del quotidiano, come e per tutti gli scritti pubblicati sulla testata; che gli articoli si erano limitati a riferire la notizia, vera e indiscutibile, del coinvolgimento diretto degli attori in una inchiesta giudiziaria per gravi ipotesi di reato; che tale notizia era di incontestabile interesse per l’opinione pubblica, atteso che l’ing. A.A. all’epoca rivestiva l’incarico pubblico di assessore al Comune di Torre del Greco, con deleghe ai lavori pubblici; che i giornalisti avevano riferito in modo veritiero la vicenda giudiziaria, avevano messo in evidenza che si trattava di una inchiesta, che non vi era stato alcun accertamento di responsabilità a carico degli indagati e che quanto narrato corrispondeva solo alle accuse mosse dalla Procura e dai magistrati inquirenti; che erano state anche riportate le dichiarazioni di innocenza dei due indagati; che la comunicazione e diffusione di dati personali dei ricorrenti di elevato interesse pubblico era lecita in quanto svolta nell’esercizio della professione giornalistica, espressione del diritto costituzionalmente garantito all’informazione (art. 21), in ossequio alla previsione degli artt. 136 e 137 del Codice in materia di protezione dei dati personali, che riconosce la prevalenza del diritto di cronaca sul diritto alla riservatezza; che l’archivio storico di una testata giornalistica, sia esso telematico o cartaceo, costituisce la memoria storica del quotidiano medesimo il cui contenuto non può essere cancellato, ovvero modificato o manipolato a posteriori, avendo una finalità documentaristica e conservativa, nè tantomeno può essere soggetto a revisioni o rimozioni, atteso che diversamente si perderebbe proprio quella che è la finalità e la natura di un archivio storico, ovverosia il fatto di costituire la fotografia e la memoria storica (immutata e immutabile) di un certo accadimento, alla stessa stregua degli archivi cartacei; che i ricorrenti con la lettera dell’ottobre 2019, unica pervenuta, si erano limitati a richiedere solo ed esclusivamente la cancellazione degli articoli dall’archivio, sostenendo che neppure un aggiornamento della propria posizione processuale in quella vicenda giudiziaria sarebbe stato sufficiente, insistendo quindi esclusivamente per la cancellazione degli stessi dall’archivio telematico; di aver già provveduto alla deindicizzazione e che dovevano essere disattese le ulteriori istanze di cancellazione, trasformazione in forma anonima o blocco dei dati personali dall’archivio on-line del quotidiano.
2. Il Tribunale di Napoli con sentenza del 13.9.2021 ha dichiarato cessata la materia del contendere quanto alla richiesta di deindicizzazione, rigettando per il resto le pretese dei ricorrenti e condannandoli in solido alla rifusione delle spese di lite.
Il Tribunale, traendo a tal fine conforto anche dalla sentenza n. 19681 del 2019 delle Sezioni Unite della Cassazione, successiva al regolamento generale UE sulla protezione dei dati personali n. 679 del 2016 (c.d. GDPR), ha ritenuto che nel doveroso bilanciamento fra gli interessi in conflitto doveva prevalere l’interesse pubblico all’informazione, mentre l’interesse dei ricorrenti poteva essere congruamente assicurato non già attraverso la cancellazione richiesta ma attraverso la mera deindicizzazione; questa consentiva la conservazione degli articoli immodificati, ma resi accessibili solo dall’archivio storico on line del quotidiano e non con l’utilizzo dei comuni motori di ricerca; che tale tutela era già stata assicurata da parte della GEDI, con adempimento effettuato il 12.4.2021, in data anteriore alla costituzione di GEDI, ma successiva alla richiesta di visibilità (9.4.2021); che con la lettera dell’ottobre 2019 i ricorrenti non avevano fatto alcuna richiesta in tal senso, avendo preteso solo la cancellazione; che fra le domande di cancellazione e deindicizzazione non vi era rapporto di continenza; che l’azione giudiziaria poteva essere promossa solo dopo il rifiuto di una richiesta ad hoc; che la materia del contendere era pertanto cessata quanto alla deindicizzazione.
3. Avverso la predetta sentenza del 13.9.2021, non notificata, con atto notificato il 10.3.2022 hanno proposto ricorso per cassazione A.A. e B.B., svolgendo tre motivi.
Ha proposto controricorso la GEDI, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
4. Il primo motivo di ricorso principale è rubricato “Violazione art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 in relazione all’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) in merito all’omessa e/o contraddittoria motivazione di rigetto della domanda formulata in via subordinata dai ricorrenti sulla scorta di sostanziale contrasto riguardante l’inesatta ovvero incompleta enunciazione del principio di diritto ivi richiamato e contenuto nella sentenza di 1 grado”.
I ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata non avrebbe esaminato la loro richiesta di aggiornamento e “anonimizzazione” e “pseudonomizzazione” degli articoli e non avrebbe motivato circa le ragioni del rigetto.
5. Come si è detto, in linea di subordine, i ricorrenti avevano chiesto al Tribunale di ordinare che gli articoli del 2003 inseriti nell’archivio de “(Omissis)” venissero resi accessibili solo dal motore di ricerca del sito www.repubblica.it, previa deindicizzazione, ma anche che venisse contestualmente disposta la “anonimizzazione” o “pseudonomizzazione” dei loro identificativi, unitamente all’aggiornamento del loro contenuto attraverso l’inserimento delle sentenze di assoluzione di primo e secondo grado e dell’ordinanza di ingiusta detenzione.
In altri termini, in subordine alla prioritaria istanza di cancellazione, i ricorrenti avevano domandato, con l’impiego dei predetti neologismi “anonimizzazione” e “pseudonomizzazione”, che il contenuto degli articoli fosse manipolato con la sostituzione dei loro nomi con degli omissis, ovvero con pseudonimi o nomi di fantasia, e/o che venisse integrato e rettificato con la menzione dell’esito finale delle vicende giudiziarie che li avevano coinvolti.
6. Non sussiste l’omessa pronuncia lamentata dai ricorrenti e la correlativa violazione dell’art. 112 c.p.c..
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. non ricorre quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez. 2, n. 20718 del 13.8.2018; Sez. 5, n. 29191 del 6.12.2017; Sez. 1, n. 24155 del 13.10.2017); analogamente non si configura il vizio di omessa pronuncia, pur in difetto di un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Sez. 6 – 1, n. 15255 del 4.6.2019).
Infatti il Tribunale ha dichiarato cessata la materia del contendere quanto alla richiesta di deindicizzazione e ha espressamente dichiarato di voler disattendere e rigettare nel resto il ricorso.
7. Non possono dolersi i ricorrenti neppure dell’assenza o della mera apparenza della motivazione del rigetto della predetta domanda subordinata, dal momento che il Tribunale ha affermato, del tutto inequivocabilmente, che l’unica possibile tutela del diritto alla riservatezza e all’oblio fatto valere dai ricorrenti stava nella possibilità di ottenere la deindicizzazione degli articoli dai normali motori di ricerca, di modo che essi fossero consultabili solo nell’archivio storico on line del giornale, e non l’eliminazione degli articoli.
Per “deindicizzazione” (c.d. delisting) si intende un’operazione sostanzialmente differente dalla rimozione o cancellazione di un contenuto: la deindicizzazione non lo elimina, ma lo rende non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all’archivio in cui quel contenuto si trova (cfr Sez.1, n. 34658 del 24.11.2022).
Il Tribunale, pur non avendo menzionato espressamente in motivazione le operazioni alternative di manipolazione del testo, oggetto delle richieste subordinate degli attori, si è espresso del tutto chiaramente nell’affermare che, al di fuori dei casi di ripubblicazione, il necessario bilanciamento fra il diritto all’informazione della collettività e il diritto dei ricorrenti alla riservatezza doveva comunque garantire la totale sovrapponibilità dei documenti conservati nell’archivio cartaceo e in quello informatico del quotidiano.
Il che, con il proclamare l’unicità della possibile tutela, esclude inequivocabilmente la cancellazione o la sostituzione dei nomi e parimenti le aggiunte rettificatrici al testo degli articoli, richieste in subordine dai ricorrenti.
8. Neppure, a fronte della chiara motivazione addotta dal Tribunale partenopeo, è dato ravvisare una contraddittorietà della motivazione con riferimento ai precedenti giurisprudenziali di legittimità citati nella sentenza impugnata e alle peculiarità concrete delle fattispecie decise con quelle pronunce.
9. Il secondo e il terzo motivo sono connessi ed anzi sovrapposti, sicchè si rende necessario esaminarli congiuntamente.
Il secondo motivo è rubricato “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del GDPR n. 679 del 2016, art. 5, comma 1, lett. d), artt. 16 e 82 in merito al diritto/obbligo di aggiornamento e rettifica dei dati inesatti e/o incompleti”.
Lamentano i ricorrenti l’ingiustificata prevalenza accordata al diritto all’informazione della collettività rispetto al diritto dei singoli tutelati dall’art. 2 Cost. e dagli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza, oltre che dal GDPR 679/2016, con specifico riguardo al diritto all’aggiornamento dei dati personali inesatti.
Il terzo motivo è rubricato “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del GDPR n. 679 del 2016, art. 5, comma 1, lett. c), art. 17, comma 3 lett. d), artt. 82 e 89 in riferimento alla garanzia di minimizzazione dei dati archiviati” e formula specifico riferimento alla esigenza di minimizzazione dei dati archiviati.
I ricorrenti sostengono che il bilanciamento operato dal Tribunale fra il diritto all’informazione della collettività e i diritti dei singoli collideva con le norme sopra citate e che l’art. 82 del Regolamento UE 679/2016 stabilisce una forma di responsabilità extracontrattuale per cui prevale l’esigenza di tutela immediata della vittima dell’illecito.
10. L’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. “Carta di Nizza”) in tema di “Rispetto della vita privata e della vita familiare”, proclama che “Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”.
Il successivo art. 8 in tema di “Protezione dei dati di carattere personale” afferma che “1. Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. 2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica. 3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”.
11. E’ opportuno, per il corretto inquadramento della questione, prender le mosse dalla sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 13.5.2014- C-131/12, usualmente ricordata come “Google Spa in”.
Secondo questa pronuncia della Corte di Giustizia, l’art. 2, lett. b) e d), della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come “trattamento di dati personali”, ai sensi del citato art. 2, lett. b), qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dall’altro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il “responsabile” del trattamento summenzionato, ai sensi dell’art. 2, lett. d), di cui sopra.
Inoltre gli artt. 12, lett. b), e 14, comma 1, lett. a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sè lecita.
Si deve quindi verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che si palesino a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato.
Quest’ultimo può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli art. 7 e 8 della Carta, chiedere che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati.
I diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del grande pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona.
Fa eccezione l’ipotesi in cui risulti, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi.
12. Infatti il diritto di ogni persona all’oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all’identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all’informazione, sicchè, anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 17 Regolamento (UE) 2016/679, qualora sia pubblicato sul web un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la deindicizzazione dell’articolo dal motore ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest’ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate (Sez. 1, n. 15160 del 31.5.2021).
E ciò si spiega perchè il diritto all’oblio consiste nel non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato, ma la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, sicchè nel caso di notizia pubblicata sul web, il medesimo può trovare soddisfazione anche nella sola deindicizzazione dell’articolo dai motori di ricerca (Sez. 1, n. 9147 del 19.5.2020).
Anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di interloquire, precisando che la menzione degli elementi identificativi delle persone protagonisti di fatti e vicende del passato è lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (Sez. U, n. 19681 del 22.7.2019).
13. Il caso in esame, che sempre più frequentemente viene sottoposto al giudizio di questa Corte, riguarda l’archivio storico on line di un quotidiano, che per sua natura deve conservare esattamente la memoria degli articoli, a suo tempo legittimamente pubblicati nell’esercizio del diritto di cronaca giornalistica per l’interesse pubblico che circondava la vicenda (normalmente, e in questo caso, una indagine giudiziaria penale), e la legittima aspirazione delle persone coinvolte in quei fatti e in quell’indagine, una volta cessato il clamore e l’interesse pubblico per il decorso del tempo, a non vedersi consegnati al ricordo collettivo in quei termini, tanto più quando l’esito finale del processo penale li abbia visti scagionati e assolti.
Rischio questo amplificato dalla potenza evocatrice dei motori di ricerca nell’ambiente internet che, tramite il collegamento alle loro generalità, permette con estrema facilità di rinvenire in rete, anche molti anni dopo, la traccia di quelle notizie e di quegli articoli.
Si delinea quindi un conflitto tra gli interessi in gioco e si pone il problema del necessario bilanciamento fra il diritto all’informazione, nel caso, declinato nella forma della conservazione dell’archivio storico delle informazioni pubblicate, da un lato, e il diritto degli interessati a veder calare il velo dell’oblio sulle vicende giudiziarie che li avevano coinvolti.
Questo conflitto è stato risolto dal giudice del merito riconoscendo agli attuali ricorrenti solo il diritto all’attivazione dello strumento, ritenuto adeguato, della deindicizzazione dai motori di ricerca, che è stata ritenuta effettuata tempestivamente da GEDI in relazione alla richiesta degli attori, avanzata solo con l’atto giudiziale, e respingendo la loro prioritaria richiesta di cancellazione e la subordinata istanza di alterazione manipolativa degli articoli e/o di loro aggiornamento con l’apposizione di una nota informativa sull’esito finale del procedimento giudiziario.
14. I responsi resi da questa Corte in quest’ambito non sono univoci e nelle pronunce più recenti si sono attestati sulla stessa linea di ragionamento seguita dal Tribunale, in tal modo prendendo le distanze dal più risalente arresto in materia, ossia dalla sentenza della Sez.3, n. 5525 del 5.4.2012, invocata dai ricorrenti e citata anche nella sentenza impugnata.
Secondo questa pronuncia l’editore di un quotidiano che memorizzi nel proprio archivio storico della rete internet le notizie di cronaca, mettendole così a disposizione di un numero potenzialmente illimitato di persone, è tenuto ad evitare che, attraverso la diffusione di fatti anche remoti, possa essere leso il diritto all’oblio delle persone che vi furono coinvolte. Pertanto, quando vengano diffuse sul web notizie di cronaca giudiziaria, concernenti provvedimenti limitativi della libertà personale, l’editore è tenuto garantire contestualmente agli utenti un’informazione aggiornata sullo sviluppo della vicenda, a nulla rilevando che essa possa essere reperita aliunde. Nella specie, la società editrice di un noto quotidiano aveva messo on line il proprio archivio storico, nel quale era contenuta altresì la notizia dell’arresto, avvenuto venti anni prima, di un amministratore locale, poi assolto.
V’è da dire, peraltro che nel caso deciso dalla sentenza n. 5525 del 2012, a quanto consta almeno, non s’era fatta questione, nè da una parte, nè dall’altra, dello strumento della deindicizzazione e l’alternativa “secca” che sembrava essersi proposta era tra la conservazione dell’articolo o il suo aggiornamento correttivo.
15. Non sono mancate severe opinioni critiche in dottrina a questa interpretazione giurisprudenziale.
V’è chi ha rimarcato la linea di collisione fra questa soluzione e la verità storica. Se gli archivi dei quotidiani giornalistici non debbono più rispecchiare la concatenazione cronologica degli eventi oggetto di interesse pubblico, ma devono riportare l’attuale immagine sociale dei soggetti coinvolti, la verità storica verrebbe travolta e si formerebbe uno iato tra la raccolta cartacea (immodificabile e deputata a contenere una successione di “verità storiche”) e l’archivio (quale dinamico luogo della “verità”).
Si è osservato che l’onere di aggiornamento delle notizie presumibilmente potrebbe generare la richiesta di corrispettivi all’accesso per remunerare gli oneri necessari per evitare la circolazione di notizie non aggiornate, a scapito della generale disponibilità di informazioni e della uguaglianza fra gli utenti. Si è detto inoltre che la stampa evolverebbe da fonte di informazioni a vera e propria “garante della verità”. Si è osservato, infine, che siffatta forma di tutela, costosa in tempi di tempo e risorse, si rivelerebbe fonte di crescente disuguaglianza sostanziale, perchè la possibilità di “parziale riscrittura” del proprio passato proietterebbe un alone di opacità proprio su quei soggetti che, in virtù delle loro disponibilità di mezzi, hanno la possibilità di emendare la propria reputazione e produrrebbe una “immagine sociale” riportata dalla stampa a due livelli.
Tanto che, assai autorevolmente, in dottrina si è sostenuto che l’autonomia individuale non può spingersi fino a pretendere la cancellazione della storia e una ripulitura del nostro passato da tutto ciò che percepiamo come sgradevole, fondando così un diritto di autorappresentazione che obblighi tutti gli altri a vederci solo come noi vogliamo.
16. La sentenza delle Sezioni unite n. 19681 del 22.7.2019, la cui autorità è stata invocata nella sentenza impugnata, non è risolutiva perchè riguardava una vicenda sensibilmente differente da quella ora in esame, e cioè la pubblicazione, parecchi anni dopo, di un nuovo articolo sull’argomento, a suo tempo ampiamente già trattato dalla stampa, di una pregressa vicenda giudiziaria.
In quell’occasione una risalente vicenda di cronaca giudiziaria era stata rievocata a rilevante distanza di tempo dal fatto e dal processo con un nuovo articolo, nella prospettiva di una indagine storica. Si trattava di un omicidio commesso ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva e si era reinserito positivamente nel contesto sociale.
Le Sezioni Unite hanno posto curata attenzione a sottolineare (nel p. 8, dedicato a una sorta di actio finium regundorum) come il tema del contendere attenesse propriamente al diritto di cronaca e alla rievocazione storiografica e non già al tema dell’uso di internet e della reperibilità delle notizie nella rete e dell’esigenza di contestualizzare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, e neppure al diritto alla cancellazione dei dati trattato nella sentenza Google Spa in della Corte di giustizia dell’Unione Europea.
Con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno affermato che in tema di rapporti tra diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti.
Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che dèstino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà, sia per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva.
Le Sezioni Unite hanno ricordato, sintetizzando i criteri indicati dalle Corti Europee, che il bilanciamento tra l’interesse del singolo ad essere dimenticato e quello opposto della collettività a mantenere viva la memoria di fatti a suo tempo legittimamente divulgati presuppone un complesso giudizio nel quale assumono rilievo decisivo la notorietà dell’interessato, il suo coinvolgimento nella vita pubblica, il contributo ad un dibattito di interesse generale, l’oggetto della notizia, la forma della pubblicazione ed il tempo trascorso dal momento in cui i fatti si sono effettivamente verificati. 17. In altri e più recenti arresti, peraltro sottratti – a quanto è dato verificare dai testi delle decisioni – all’applicazione ratione temporis del GDPR, questa Corte si è occupata di casi simili a quello oggi in trattazione.
L’ordinanza della Sez. 1, n. 7559 del 27.3.2020 ha ritenuto lecita la permanenza di un articolo di stampa nell’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di cronaca giudiziaria, che abbiano ancora un interesse pubblico di tipo storico o socio-economico, purchè l’articolo sia deindicizzato dai siti generalisti e reperibile solo attraverso l’archivio storico del quotidiano.
In tal guisa – si è detto – si contempera in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale. Nella specie è stata confermata la sentenza di merito che aveva respinto la domanda degli eredi di un imprenditore deceduto, tesa ad ottenere la cancellazione dall’archivio on line di un quotidiano, dell’articolo che si riferiva ad inchieste giudiziarie in ordine a fatti penalmente rilevanti commessi dal defunto.
18. L’ordinanza della Sez. 1 n. 9147 del 19.5.2020 si è occupata di stabilire se l’archiviazione delle notizie per finalità storica sia una modalità di trattamento compatibile con l’iniziale raccolta a scopi giornalistici e se l’attività di raccolta così compiuta risponda ad un interesse pubblico; è stato fatto riferimento al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11 e 99, là dove è previsto che l’archiviazione delle notizie per finalità storica è un trattamento compatibile con quello iniziale a scopo giornalistico e che esso può essere svolto “anche oltre il periodo di tempo necessario per conseguire i diversi scopi per i quali i dati sono stati in precedenza raccolti o trattati” e, ancora, all’art. 4 del medesimo testo normativo che, al comma 4, lett. a), riconosce della finalità storica un’accezione ampia, destinata a ricomprendere con quella di studio, indagine e ricerca anche quella di “documentazione di figure, fatti e circostanze del passato”.
E’ stato così ritenuto che l’attività di conservazione delle raccolte delle edizioni dei giornali pubblicate risponda ad un pubblico interesse tanto da assumere un duplice rilievo costituzionale in quanto strumentale alla ricerca storica ed espressione del correlato diritto (art. 33 Cost.) e in quanto espressione del diritto di manifestare liberamente il pensiero (art. 21 Cost.).
L’archivio di cronaca giornalistica o, più propriamente, l’attività di raccolta ed archivio delle passate edizioni di un giornale accomuna tutti gli accadimenti; ad esso deve riconoscersi copertura costituzionale, sia in quanto strumentalmente connesso all’attività di ricerca storica, quale perimetro di un possibile suo utilizzo, sia perchè comunque espressione della generale manifestazione del pensiero (artt. 33 e 21 Cost.).
Per il necessario bilanciamento la persona protagonista della notizia, salvi i limiti di verità di quest’ultima, non può ottenerne la cancellazione dall’archivio di un giornale on-line invocando il diritto ad essere dimenticata e tanto nell’assolta finalità documentaristica dell’archivio inteso, nei suoi contenuti, quale declinazione del diritto all’informazione.
La creazione di una memoria collettiva calibrata sugli accadimenti di cronaca e con finalità storico-sociale non può dirsi snaturata dal carattere digitale del mezzo sicchè alla eliminazione della notizia dall’archivio on-line deve riconoscersi a stessa forza che avrebbe l’atto di strappare una pagina di un vecchio numero di un giornale custodito nell’archivio cartaceo.
Quanto al diverso problema della ricerca del rimedio è stato osservato che ad offendere il protagonista della notizia non è la sua mera permanenza in rete, ma le modalità con le quali ciò avviene. Il diritto all’oblio viene quindi in rilievo rispetto alla lesione risentita dal protagonista dell’informazione dall’accesso generalizzato ed indistinto consentito agli utenti del web ai contenuti della notizia che – presente nella pagina di un giornale in formato digitale ed inserita in un archivio giornalistico on-line – riemerge, in seguito alla digitazione sulla query del motore di ricerca del nominativo dell’interessato, per l’intervenuta sua indicizzazione, operazione con cui il gestore di un motore di ricerca include nel proprio database i contenuti di un sito web che viene in tal modo acquisito e tradotto all’interno del primo.
Un siffatto esito interpretativo ben può essere condiviso, oltre che per l’autonoma dignità riconosciuta a una memoria storica collettiva integrata dai fatti di cronaca di rilievo storico-sociale, anche quando declinata in formato digitale, pure in ragione di quanto, negli anni più recenti, si è venuto ad affermare dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea sui rapporti tra motori di ricerca – protagonisti del contesto digitale e della diffusione dell’informazione in siffatto ambito, loro operatività e diritto all’oblio, inteso come imperitura esposizione delle informazioni relative al singolo agli utenti di Internet.
Tutto ciò ha portato a concludere che in materia di diritto all’oblio là dove il suo titolare lamenti la presenza sul web di una informazione che lo riguardi – appartenente al passato e che egli voglia tenere per sè a tutela della sua identità e riservatezza – e la sua riemersione senza limiti di tempo all’esito della consultazione di un motore di ricerca avviata tramite la digitazione sulla relativa query del proprio nome e cognome, la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, e può trovare soddisfazione, fermo il carattere lecito della prima pubblicazione, nella deindicizzazione dell’articolo sui motori di ricerca generali, o in quelli predisposti dall’editore.
19. Anche l’ordinanza della Sez. 1, n. 15160 del 31.5.2021, ha affermato che il diritto di ogni persona all’oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all’identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all’informazione, sicchè, anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 17 del Regolamento UE 2016/679, qualora sia pubblicato sul web un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la deindicizzazione dell’articolo dal motore ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest’ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate. Nel caso di specie è stata cassata la sentenza di merito, che, solo in ragione del carattere non troppo risalente dell’informazione, aveva negato a un imprenditore, noto esclusivamente a livello locale, il diritto alla menzionata deindicizzazione, in relazione ad un articolo pubblicato sul web, ove era stato riportato il contenuto di intercettazioni telefoniche di terzi, che riferivano di una presunta vicinanza di tale imprenditore a clan mafiosi, non confermata dall’apertura di alcuna indagine nei confronti di quest’ultimo.
20. La pronuncia della Sezione 1, n. 3952 dell’8.6.2022, non riguarda propriamente il tema in discussione poichè ha trattato il problema delle copie cache in rapporto alla capacità da parte dei motori di ricerca di fornire una risposta all’interrogazione posta dall’utente attraverso una o più parole chiave.
21. Per concludere il panorama giurisprudenziale, assai recentemente, questa Corte con ordinanza n. 479 dell’11.1.2023 ha affrontato il tema della configurazione giuridica dell’archivio storico digitale di un quotidiano, negando che si tratti di un prodotto editoriale su supporto informatico avente i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico tradizionale su supporto cartaceo, per la sua finalità meramente compilativa, documentarista e storica. E’ stato così escluso che l’archivio in questione rientri nella nozione di stampa di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47 e successive modificazioni, art. 1 con la conseguenza inapplicabilità delle norme della citata legge e in particolare anche quella dettata dall’art. 11 sulla responsabilità oggettiva del proprietario e dell’editore della testata giornalistica.
Ciò premesso, è stato ritenuto che nell’ipotesi in cui il contenuto diffamatorio degli articoli di stampa cartacea inseriti nell’archivio storico digitale di un quotidiano risulti già accertato con sentenza passata in giudicato, l’inserimento e il mantenimento nel suddetto archivio di quelle stesse informazioni integra una nuova e autonoma fattispecie illecita, ove sussista la lesione di diritti costituzionalmente garantiti (all’immagine, anche sociale, alla reputazione personale e professionale o alla vita di relazione), essendo differenti sia il tempo, sia la forma, sia la finalità della veicolazione di dette notizie, e che la successiva lesività diffusiva deve valutarsi in concreto, avuto riguardo a tutte le peculiarità del singolo caso, secondo gli ordinari criteri di cui all’art. 2043 c.c., con onere probatorio a carico del soggetto leso, anche, se del caso, in via di presunzioni, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie (condotta, elemento soggettivo, nesso causale, danno), la cui sussistenza necessita di apposita indagine del giudice di merito.
Vi è tuttavia una significativa differenza fra il caso appena illustrato -in cui l’articolo apparso sul quotidiano a suo tempo era illecito e tale era stato accertato con sentenza passata in cosa giudicata – e quello oggi in esame – in cui l’originaria pubblicazione a suo tempo dell’articolo era perfettamente lecita.
22. Il Collegio ritiene di dover rimeditare, solo parzialmente, gli orientamenti giurisprudenziali illustrati, secondo il quale la tutela dei diritti dell’interessato, successivamente prosciolto in sede giudiziaria, nel caso di conservazione nell’archivio storico digitale di un giornale delle copie di articoli a suo tempo legittimamente pubblicati nell’esercizio del diritto di cronaca relativi all’inchiesta giudiziaria di pubblico interesse che lo aveva coinvolto, è adeguatamente assicurata dalla deindicizzazione e non può comportare la cancellazione o la manipolazione degli articoli.
Queste regole, cioè, in sostanziale continuità con la giurisprudenza citata, vanno ribadite, ma all’interessato va riconosciuto anche il diritto, a certe condizioni, alla contestuale pubblicazione di un’informazione correttiva.
La deindicizzazione, come ha illustrato efficacemente la citata sentenza n. 3952 del 2022 rappresenta il rimedio atto ad evitare che il nome della persona sia associato dal motore di ricerca ai fatti di cui internet continua a conservare memoria e in tal modo asseconda il diritto della persona a non essere trovata facilmente sulla rete (right not to be found easily).
Questo strumento – è stato detto in quell’occasione – “vale cioè ad escludere azioni di ricerca che, partendo dal nome della persona, portino a far conoscere ambiti della vita passata di questa che siano correlati a vicende che in sè presentino ancora un interesse (e che non possono perciò essere totalmente oscurate), evitando che l’utente di internet, il quale ignori il coinvolgimento della persona nelle vicende in questione, si imbatta nelle relative notizie per ragioni casuali, o in quanto animato dalla curiosità di conoscere aspetti della trascorsa vita altrui di cui la rete ha ancora memoria”. D’altro canto, come ben evidenziato dalla ordinanza n. 9147 del 2020, l’utilità del rimedio della deindicizzazione si collega alla particolare offensività delle modalità della permanenza in rete della notizia, che consente l’accesso generalizzato ed indistinto consentito agli utenti del web ai suoi contenuti in seguito alla digitazione sulla query del motore di ricerca del nominativo dell’interessato.
Principi questi confermati anche dalle pronunce successive e da ultimo ancora dall’ordinanza della Sez.1, n. 34658 del 24.11.2022. L’utilità della deindicizzazione appare armonica con l’evoluzione, successiva ai fatti di causa, del nostro ordinamento espressa dall’art. 64 ter disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 41, comma 1, lett. f), in tema di “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini”, secondo il quale la persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione può richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016.
Ci si deve interrogare tuttavia se la sola deindicizzazione, come ritenuto dal Tribunale partenopeo sia sufficiente a garantire in modo adeguato il diritto all’oblio dell’interessato, o se a costui debba essere riconosciuta una tutela ancora più incisiva.
23. Nel caso è evidente l’insorgere di un conflitto fra il diritto dell’interessato alla tutela dei suoi dati personali e alla riservatezza, che si declina nel diritto a essere dimenticato, e il diritto all’informazione, che si esprime, in particolare, nell’esigenza di conservazione della memoria del passato in funzione storica e archivistica.
I ricorrenti, da un lato, avvertono il vulnus della persistenza oggettiva, senza alcuna cautela ripristinatoria della verità, nell’archivio storico del giornale delle notizie, a suo tempo legittimamente pubblicate, dell’indagine nei loro confronti con arresti domiciliari per accuse infamanti, dopo essere stati assolti da ogni accusa e risarciti per l’ingiusta detenzione subita.
Dall’altra, la controricorrente invoca a proprio sostegno la finalità archivistica e di ricerca storica, che, presuppone non solo che la notizia sia conservata e quindi accessibile, ma che la stessa sia anche custodita nella sua struttura originale, senza alterazioni. Ciò, per effetto della recepita deindicizzazione, avviene attraverso più complesse modalità di ricerca, ovverosia l’articolo e la notizia in contestazione sono resi disponibili solo dall’attivazione dello specifico motore di ricerca all’interno del quotidiano, proprio all’esito dalla predetta deindicizzazione nei comuni motori di ricerca on line.
La controricorrente invoca pertanto, ex artt. 21 e 33 Cost., il generale diritto alla conoscenza di tutto quanto in origine lecitamente veicolato al pubblico dalla stampa, con conseguente liceità del fine del trattamento dei dati personali contenuti in un archivio giornalistico (tanto cartaceo, quanto telematico, stante la loro perfetta equiparazione). La controricorrente sostiene altresì che l’archivio giornalistico e l’attività di raccolta e archiviazione delle passate edizioni di un quotidiano accomuna tutti gli accadimenti che si sono verificati nel tempo e che a tale attività deve riconoscersi copertura costituzionale in quanto strumentalmente connessa all’attività di ricerca storica e perchè contestuale espressione del diritto di manifestazione del pensiero.
24. Prima di procedere oltre, è doveroso sgombrare il campo da una difesa proposta dalla controricorrente (cfr controricorso, pag.18; memoria, pag.5) che Spa rge dubbi sulla totale estraneità dei ricorrenti alle accuse a suo tempo rivolte nei loro confronti dagli inquirenti, citando un brano, per vero decontestualizzato, della sentenza assolutoria, che lascerebbe pesanti ombre sulle condotte dei signori A.A., soprattutto, e B.B., e sottolinea come l’assoluzione sia stata pronunciata sulla base di una incertezza probatoria ex art. 530 c.p.p., comma 2.
Non è contestato ed è documentato che i ricorrenti sono stati assolti, con sentenza passata in giudicato, dalle accuse per cui erano stati indagati e sottoposti a misure cautelari e abbiano ottenuto altresì il risarcimento per ingiusta detenzione.
Tanto basta a sopire ogni dubbio circa una loro responsabilità penale per i fatti addebitati che non sono stati ritenuti provati dall’autorità giudiziaria competente e nella sede propria.
25. Per la soluzione del conflitto così delineato è indispensabile procedere a un bilanciamento dei valori in gioco, che va condotto tenendo conto primariamente della disciplina Europea contenuta nel regolamento UE 679/2016 (GDPR), non applicato ratione temporis nei precedenti arresti giurisprudenziali di questa Corte.
Il Considerando 4 del GDPR afferma che il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità, tra i quali la libertà di pensiero, la libertà di espressione e d’informazione e la libertà d’impresa.
Il considerando 65 afferma che un interessato dovrebbe avere il diritto di ottenere la rettifica dei dati personali che lo riguardano e il “diritto all’oblio” se la conservazione di tali dati violi il regolamento o il diritto dell’Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento.
In particolare, l’interessato dovrebbe avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, quando abbia revocato il proprio consenso o si sia opposto al trattamento dei dati personali che lo riguardano o quando il trattamento dei suoi dati personali non sia altrimenti conforme al regolamento. Tuttavia, dovrebbe essere lecita l’ulteriore conservazione dei dati personali qualora sia necessaria per esercitare il diritto alla libertà di espressione e di informazione, per adempiere un obbligo legale, per eseguire un compito di interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, ovvero per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria.
Per il considerando 66 per rafforzare il “diritto all’oblio” nell’ambiente online, è opportuno che il diritto di cancellazione sia esteso in modo tale da obbligare il titolare del trattamento che ha pubblicato dati personali a informare i titolari del trattamento che trattano tali dati personali di cancellare qualsiasi link verso tali dati personali o copia o riproduzione di detti dati personali. Nel fare ciò, è opportuno che il titolare del trattamento adotti misure ragionevoli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei mezzi a disposizione del titolare del trattamento, comprese misure tecniche, per informare della richiesta dell’interessato i titolari del trattamento che trattano i dati personali.
Stando al considerando 156, il trattamento di dati personali a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici dovrebbe essere soggetto a garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato, in conformità del regolamento, che dovrebbero assicurare che siano state predisposte misure tecniche e organizzative al fine di garantire, in particolare, il principio della minimizzazione dei dati. L’ulteriore trattamento di dati personali a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici è da effettuarsi quando il titolare del trattamento ha valutato la fattibilità di conseguire tali finalità trattando dati personali che non consentono o non consentono più di identificare l’interessato, purchè esistano garanzie adeguate (come ad esempio la pseudonimizzazione dei dati personali). Gli Stati membri dovrebbero prevedere garanzie adeguate per il trattamento di dati personali per finalità di archiviazione nel pubblico interesse, per finalità di ricerca scientifica o storica o per finalità statistiche.
26. L’art. 5, par.1, lett. b), del GDPR prescrive che i dati personali, raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, siano successivamente trattati in modo che non sia incompatibile con tali finalità ed ammette un ulteriore trattamento dei dati personali a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici che non è, conformemente all’art. 89, paragrafo 1, incompatibile con le finalità iniziali.
Alla successiva lett. c) viene formulato il principio della “minimizzazione dei dati”, per cui essi debbono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati.
La lett. d) dello stesso articolo esige che i dati siano esatti e, se necessario, aggiornati e prescrive l’adozione di tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati (principio dell'”esattezza”).
La lettera e), infine, ammette l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali i dati sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, conformemente all’art. 89, paragrafo 1, fatta salva l’attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate richieste dal presente regolamento a tutela dei diritti e delle libertà dell’interessato (principio della “limitazione della conservazione”).
Ai sensi dell’art. 16 l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza ingiustificato ritardo.
Secondo l’art. 17 l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, quando essi non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati (lettera a), o l’interessato si oppone al trattamento nei casi previsti (lettera c), o ancora i dati personali sono stati trattati illecitamente (lettera d).
In forza del terzo paragrafo dell’art. 17 fanno eccezione, tra l’altro e per quanto qui rileva, i casi in cui il trattamento sia necessario: a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, o d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’art. 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento.
La norma chiave è contenuta proprio nell’art. 89, che riguarda le garanzie e deroghe relative al trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, che prevede che il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici è soggetto a garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato, in conformità al regolamento.
Tali garanzie assicurano che siano state predisposte misure tecniche e organizzative, in particolare al fine di garantire il rispetto del principio della minimizzazione dei dati.
Tali misure possono includere la pseudonimizzazione, purchè le finalità in questione possano essere conseguite in tal modo. Qualora possano essere conseguite attraverso il trattamento ulteriore che non consenta o non consenta più di identificare l’interessato, tali finalità devono essere conseguite in tal modo.
27. Quanto alla disciplina nazionale, attuativa del GDPR, il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4 (“Codice della privacy”, ovvero Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE) all’art. 4, comma 4, precisa che ai fini del codice si intende per: a) “scopi storici”, le finalità di studio, indagine, ricerca e documentazione di figure, fatti e circostanze del passato; b) “scopi statistici”, le finalità di indagine statistica o di produzione di risultati statistici, anche a mezzo di sistemi informativi statistici; c) “scopi scientifici”, le finalità di studio e di indagine sistematica finalizzata allo sviluppo delle conoscenze scientifiche in uno specifico settore.
L’art. 11 del Codice, sempre in armonia con la disciplina Europea, prescrive che i dati personali oggetto di trattamento sono: a) trattati in modo lecito e secondo correttezza; b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi; c) esatti e, se necessario, aggiornati; d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; e) conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati.
L’art. 99, in tema di durata del trattamento, dispone che il trattamento di dati personali a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici può essere effettuato anche oltre il periodo di tempo necessario per conseguire i diversi scopi per i quali i dati sono stati in precedenza raccolti o trattati. Inoltre, ai fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici possono comunque essere conservati o ceduti ad altro titolare i dati personali dei quali, per qualsiasi causa, è cessato il trattamento nel rispetto di quanto previsto dall’art. 89, paragrafo 1, del Regolamento.
28. La Corte, come già anticipato, ritiene che l’equo contemperamento dei diritti in conflitto non possa essere raggiunto attraverso l’accoglimento della richiesta principale dei ricorrenti, ossia la cancellazione tout court degli articoli in questione dall’archivio on line del quotidiano, che annichilerebbe con l’iperprotezione dei diritti alla riservatezza degli interessati la funzione di memoria storica e documentale dell’archivio del giornale, che è oggetto di un rilevante interesse pubblico, di rilievo anch’esso costituzionale ex artt. 21 e 33 Cost., come rammenta esattamente la controricorrente.
In altri termini, non sarebbe più possibile accedere all’originario contenuto degli articoli ad uno studioso, storico o sociologo, intenzionato a ricostruire l’andamento dei processi per reati contro la pubblica amministrazione in quell’epoca, per esaminare il contenuto delle accuse e il loro esito; e ciò anche se, poniamo, l’obiettivo della sua inchiesta fosse rivolto a dimostrare gli eccessi di repressione giudiziaria o gli abusi della carcerazione preventiva in un certo contesto Spa zio-temporale oppure l’atteggiamento, più o meno “giustizialista” o “garantista”, della stampa e dell’opinione pubblica in quel contesto.
29. Una via adeguata di contemperamento non è neppure quella della manipolazione del testo con l’introduzione di pseudonimi sostitutivi o omissioni nominative, pur astrattamente contemplata dal GDPR. Infatti, lo stesso art. 89 GDPR consente tali accorgimenti solo se le finalità in questione possano essere conseguite in tal modo e non è questo il caso.
La memoria storica dell’archivio diverrebbe incompleta e falsata e così se ne perderebbe la funzione.
30. Non è così per la richiesta di aggiornamento mediante la mera apposizione agli articoli, su istanza dell’interessato, di una nota informativa volta a dar conto del successivo esito dei procedimenti giudiziari con l’assoluzione degli interessati e il risarcimento del danno per ingiusta detenzione.
In tal modo l’identità dell’articolo, che in sè e per sè rimane intonso, è adeguatamente preservata a fini di ricerca storico-documentaristica, ma al contempo vengono rispettati i fondamentali principi di minimizzazione ed esattezza sopra illustrati.
La soluzione accolta è inoltre conforme al principio di contestualizzazione e aggiornamento dell’informazione.
Non paiono pertinenti rispetto a questo accorgimento le critiche sopra riassunte nel p. 15: non si richiede infatti al gestore dell’archivio di attivarsi in via generale per l’aggiornamento delle informazioni alla luce degli sviluppi giudiziari successivi, che genererebbe effettivamente costi ingenti e probabilmente insostenibili, incompatibili con la persistente economicità degli archivi, ma solo di corrispondere senza ritardo a puntuali e specifiche richieste degli interessati, documentalmente suffragate, non solo con la deindicizzazione ma anche con l’apposizione di una breve nota informativa sull’esito finale della vicenda giudiziaria, in calce o a margine della pagina ove figura l’articolo.
31. La regola fondamentale per ogni bilanciamento di diritti richiede la valutazione comparativa della gravità del sacrificio imposto agli interessi in conflitto: la normale tollerabilità di una ingerenza nel diritto altrui, secondo una risalente ma autorevolissima dottrina, va accertata anche alla luce dei costi necessari per prevenirla.
E nel caso è sufficiente un costo modesto (l’inserzione di una breve nota in calce o a margine e solo su richiesta di parte, che non altera la funzione tipica dell’archivio) per la prevenzione di un pregiudizio ben più consistente per l’interessato.
Tale modesto sacrificio ben può essere accollato a chi gestisce l’impresa giornalistica, in logica di profitto, quale onere accessorio all’attività imprenditoriale, che scatta solo se ed in quanto l’interessato richieda la rettifica esplicativa del dato personale e l’inesattezza del dato viene dedotta sulla base di accertamenti obiettivi e incontrovertibili quali quelli provenienti da un documentato accertamento giudiziario passato in giudicato.
Naturalmente questa tutela si aggiunge a quella consistente nella deindicizzazione, nel caso accordata dalla attuale controricorrente tempestivamente secondo la sentenza del Tribunale, non impugnata al riguardo.
31. La Corte ritiene per le ragioni esposte che il ricorso debba essere deciso alla stregua del seguente principio di diritto:
“In tema di trattamento dei dati personali e di diritto all’oblio, è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell’assoluzione dell’imputato, purchè, a richiesta dell’interessato, l’articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l’archivio storico del quotidiano e purchè, a richiesta documentata dell’interessato, all’articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell’esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale”.
32. Alla luce di quanto sopra esposto, vanno accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, respinto il primo, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti.
Poichè sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, deve essere disposto il rinvio della causa al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà all’enunciato principio e regolerà le spese anche del giudizio di legittimità.
Occorre infine disporre che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nell’ordinanza.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Napoli in diversa composizione anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nell’ordinanza.
- PERSONALITA' (DIRITTI DELLA) - RISERVATEZZA - IN GENERE Archivio digitale degli articoli di un quotidiano - Inchiesta giudiziaria poi sfociata nell’assoluzione dell’imputato - Diritto della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto - Diritto dell'interessato a non subire un'indebita lesione della propria immagine sociale - Bilanciamento - Modalità..
- Costituzione art. 2 CORTE COST., Costituzione art. 21, Tratt. Internaz. 07/12/2000 art. 8, Regolam. Consiglio CEE 27/04/2016 num. 679 art. 17, Regolam. Consiglio CEE 27/04/2016 num. 679 art. 89, Regol. Esec. Cod. Proc. Pen. art. 64 ter, Decreto Legisl. 30/06/2003 num. 196 art. 4, Decreto Legisl. 30/06/2003 num. 196 art. 11, Decreto Legisl. 30/06/2003 num. 196 art. 99.
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