1. Con atto di citazione notificato il 9 novembre 2011 A.A. e B.B., in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minorenne C.C., convenivano davanti al Tribunale di Roma Provincia Religiosa di San Pietro dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli per ottenerne il risarcimento dei danni da malpractice sanitaria subita nel parto in cui era nato C.C.; la convenuta si costituiva, ottenendo l’autorizzazione di chiamare in causa la sua compagnia assicuratrice, Amissima Assicurazioni Spa ; sia la convenuta sia la chiamata resistevano alle pretese attoree.
Con sentenza del 7 agosto 2018 il Tribunale condannava al risarcimento di danni non patrimoniali subiti da C.C. nella misura di Euro 220.834 oltre interessi, applicando le tabelle milanesi con personalizzazione massima, nonchè al risarcimento di Euro 7963 per i danni subiti dalla madre.
Avendo proposto appello principale Amissima e appello incidentale A.A. e B.B., in proprio e quali rappresentanti del figlio, con sentenza del 24 settembre 2019 la Corte d’appello di Roma accoglieva entrambi i gravami, riducendo il risarcimento del danno non patrimoniale al minore all’importo di Euro 62.621,66 e condannando Provincia Religiosa di San Pietro dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli e per essa Amissima a risarcire ai genitori il danno parentale nella misura di Euro 42.000 per la madre e di Euro 25.000 per il padre, nonchè a risarcire il figlio per danno patrimoniale di perdita di chance derivante dalla compromissione della capacità lavorativa liquidata equitativamente in Euro 25.000.
2. Ha presentato ricorso Amissima sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria. A.A. e B.B., in proprio e quali rappresentanti del figlio, si sono difesi con controricorso.
3.1 Il primo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione degli artt. 1223, 1226, 2059, 2697 e 2729 c.c., nonchè motivazione apparente su punto decisivo della controversia.
Questo motivo censura l’accoglimento della prima doglianza presentata alla corte territoriale con l’appello incidentale.
3.1.1 In primo luogo, si osserva che nel caso in esame sarebbe contro la legge (gli artt. 2059, 1226, 2697 e 2729 c.c.) riconoscere il danno riflesso ai parenti di una persona lesa, il che deriverebbe da una motivazione apparente e contraddittoria.
La Corte d’appello avrebbe riconosciuto che ai congiunti di chi subisce lesioni particolarmente gravi spetta il risarcimento di danno non patrimoniale per il complessivo assetto dei rapporti familiari. Ricorda peraltro la ricorrente, alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte, che il danno subito dai congiunti del danneggiato principale (o del soggetto deceduto) è danno conseguenza, per cui va allegato e provato; e una presunzione semplice nel senso della sussistenza di un danno parentale può, in quanto tale, superarsi con elementi contrari. Tale danno in effetti sarebbe riconoscibile per morte del congiunto o se questi subisce lesioni di particolare gravità, cioè superiori al 10% ai sensi dell’art. 139 Cod. Ass. e comunque non lievi.
Nel caso in esame, la CTU avrebbe accertato la sussistenza di un danno del figlio di modesta entità, con invalidità permanente del 10%, onde il giudice d’appello avrebbe violato la giurisprudenza di legittimità nonchè gli artt. 1223, 1226 e 2059 c.c. secondo l’interpretazione di questa Suprema Corte nel senso che per il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale si presuppone la sussistenza di lesioni di particolare gravità e l’accertamento del concreto danno provocato.
La corte territoriale avrebbe riconosciuto il diritto al risarcimento del danno parentale con una erronea sussunzione della fattispecie nel regime delle presunzioni (art. 2729 c.c.), non utilizzabili qualora si tratti di “lesioni di modesta entità”. Avrebbe pertanto effettuato l’applicazione di “immotivata regola presuntiva”.
3.1.2 Come concorrente profilo la ricorrente lamenta pure un grave vizio motivazionale per contraddittorietà e incomprensibilità. Premesso che il giudice d’appello avrebbe affermato che il danno parentale spetta ai congiunti di chi subisce “lesioni di particolare gravità” se vi è un concreto danno, si rileva che poi avrebbe qualificato non modeste le lesioni subite dal figlio, asserendo che “non v’è dubbio che i genitori abbiano subito danno”, ma poco prima affermato che tali lesioni e le ripercussioni sulla vita del figlio erano di “modesta entità”.
3.2 Il motivo in esame è composto in realtà di due submotivi.
3.2.1 Con il primo submotivo, si adduce che non può sussistere danno parentale se il danno diretto non è di particolare gravità, per cui un danno diretto del 10% sarebbe insufficiente a generare un danno parentale.
A prescindere dal fatto che l’invocato art. 139 Cod. Ass. determina come massimo livello delle microlesioni il 9%, è del tutto evidente che non sussiste alcun “freno” normativo per il danno parentale nel senso che possa sussistere soltanto se gli effetti stabiliti dal danno biologico sul congiunto siano particolarmente elevati. La questione è meramente di prova: il parente, secondo i principi generali – e dunque anche per via presuntiva: v. p. es., tra gli arresti recenti, Cass. sez. 3, 30 agosto 2022 n. 25541, Cass. sez. 3, ord. 8 aprile 2020 n. 7748 e Cass. sez. 3, ord. 24 aprile 2019 n. 11212 -, ha l’onere di dimostrare che è stato leso dalla condizione del congiunto, per cui ha subito un danno non patrimoniale parentale.
La Corte d’appello effettivamente afferma che “la condizione psico/fisica” del figlio (che già prima aveva concretizzato riferendosi a “come si manifestò dopo la sua nascita e nei periodi successivi”), quale emergente dalla CTU, è “sicuramente tale da necessitare di assistenza parentale”; e da questa “non modestia delle lesioni del piccolo” deduce correttamente (pur se fornendo spiegazioni maggiori per la madre che per il padre) l’esistenza del danno. E’ tale accertamento che la ricorrente tenta di confutare, proponendo, in ultima analisi, una censura direttamente fattuale, che conduce alla inammissibilità.
3.2.2 Il secondo submotivo deriva dal fatto che, accogliendo l’appello principale poco prima di passare all’esame di quello incidentale, il giudice d’appello aveva sensibilmente ridotto il quantum del danno riconosciuto come direttamente patito dal figlio: il giudice di prime cure gli aveva riconosciuto un danno biologico permanente del 25%, mentre la corte territoriale lo aveva ridotto al 10/0. Ciò tuttavia non ha immesso nella struttura motivazionale una contraddittorietà intensa laddove ha riconosciuto comunque un danno parentale.
In particolare, deve rilevarsi che non è stata la Corte d’appello a qualificare “di modesta entità” il danno biologico subito dal bambino, bensì che questo è un inciso riguardante “la patologia nEurologica” estratto dalla consulenza tecnica d’ufficio. Non si manifesta quindi alcuna forte contraddittorietà motivazionale quale occorrerebbe per ritenere che la motivazione sia inferiore al minimo costituzionale, per cui anche questa censura non risulta accoglibile, dimostrando invece anch’essa, come quella precedente, di perseguire, a fronte di un accertamento ben motivato, un terzo grado di merito.
4.1 Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c..
Accogliendo il secondo motivo dell’appello incidentale il giudice d’appello ha riconosciuto al minore un danno patrimoniale per lesione della capacità lavorativa specifica, in relazione a quanto affermato dal consulente tecnico d’ufficio – secondo il quale il minore, una volta diventato adulto, non avrebbe potuto lavorare in contatto con le polveri nè avrebbe potuto svolgere attività subacquea o di pilota per la necessità di evitare brusche variazioni barometriche-, qualificandolo però come danno patrimoniale da perdita di chance.
Osserva la ricorrente che il danno alla capacità lavorativa specifica è di natura patrimoniale (lucro cessante) e riguarda una specifica attività in atto, mentre un danno alla capacità lavorativa generica non incide immediatamente sul reddito ed è una componente del danno biologico, non autonomamente liquidabile. Il consulente tecnico d’ufficio, nei chiarimenti richiesti, “non ha ritenuto che la modesta invalidità permanente del 10% abbia spiegato effetto sulla capacità lavorativa, limitandosi a riferire di alcune limitazioni di attività”, che sarebbero soltanto teoriche e rientrerebbero nel danno non patrimoniale biologico come limitazioni appunto della capacità lavorativa generica.
Si sarebbero pertanto violati gli artt. 1223 e 1226 c.c. per avere il giudice d’appello concesso il risarcimento di danno “per una compromissione della attività lavorativa” che pure ha riconosciuto non essere stata accertata dal consulente tecnico d’ufficio. La corte territoriale sarebbe contraddittoria, perchè “prima parla di accertamento della compromissione della attività lavorativa, rinviando ad una ctu che tale compromissione non aveva accettato”, e poi “più correttamente” riconosce la perdita di chance, il che verrebbe a inficiare pesantemente la motivazione, al punto di renderla apparente.
4.2 Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nullità della sentenza per violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c. per mancanza della domanda di risarcimento della perdita di chance: riqualificando il danno come perdita di chance, il giudice d’appello avrebbe violato tali norme.
La chance d’altronde è un’entità patrimoniale la domanda del cui risarcimento va espressamente proposta, non essendo sufficiente chiedere nell’atto introduttivo il risarcimento di tutti i danni.
4.3 Il secondo e il terzo motivo possono essere vagliati congiuntamente.
Il terzo motivo è, per così dire, un sostegno finale del secondo, in quanto in sostanza adduce che non vi è Spa zio nel thema decidendum del danno da perdita di chance.
Quanto poi al vero nucleo della doglianza, cioè il secondo motivo, deve rilevarsi che, in un quadro di riconoscimento della lesione della capacità lavorativa generica, non patrimoniale perchè componente appunto del danno biologico, e di una lesione comunque non particolarmente elevata – il 10% -, la corte territoriale ha confuso una precisazione in tale ambito effettuata dal consulente tecnico d’ufficio con il riconoscimento di un danno patrimoniale.
Il chiarimento del consulente, invece, formulato anche in modo non particolarmente dettagliato, ictu oculi non è tale da oltrepassare i confini della descrizione sempre di una capacità lavorativa generica; e per di più nel caso in esame non solo le lesioni sono alquanto contenute, ma deve altresì considerarsi la persona lesa non ha ancora dimostrato le proprie effettive inclinazioni e potenzialità, per cui, appunto, non è possibile pervenire all’accertamento, neanche come ipotesi o chance, di un concreto danno patrimoniale in termini lavorativi.
5. In conclusione, del ricorso deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo, mentre i residui motivi vanno accolti nei limiti appena evidenziati, con conseguente cassazione in relazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso, accoglie gli altri per quanto di ragione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
- RISARCIMENTO DEL DANNO - PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE (DANNI MORALI) Danno da lesione del rapporto parentale - Lesioni di non lieve entità patite dal prossimo congiunto - Limite normativo - Insussistenza - Conseguenze - Prova - Onere a carico del prossimo congiunto - Prova presuntiva - Ammissibilità..
- Cod. Civ. art. 2043 CORTE COST., Cod. Civ. art. 2056, Cod. Civ. art. 2059 CORTE COST., Cod. Civ. art. 2697 CORTE COST., Cod. Civ. art. 2727, Cod. Civ. art. 2729 CORTE COST..
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