F.S. riassumeva dinanzi al tribunale di Reggio Emilia il giudizio instaurato dinanzi al tribunale di Roma contro B.F. , O.P. e la casa editrice (omissis) , nonché in origine anche contro (omissis) , per ottenere (i) l’ordine di cancellazione o di deindicizzazione della pagina web individuabile a semplice digitazione del proprio nominativo, (ii) il risarcimento dei danni per violazione del codice privacy e del dovere di verità di notizie a lui riferibili, oltre che per la creazione della detta pagina web, (iii) l’ordine dal ritiro dal commercio di tutte le copie del libro “(omissis) ” scritto dai menzionati B. e O. e edito dalla (omissis) .
Nella resistenza della B. , l’adito tribunale specificava che la riassunzione aveva avuto a oggetto la sola domanda relativa alle violazioni del codice privacy, atteso il difetto di legittimazione passiva di tutti i convenuti a eccezione di (omissis) quanto a quella di deindicizzazione, e atteso che il Tribunale di Roma, originariamente adito, aveva indicato il tribunale di Milano come in effetti competente quanto alle pretese correlate alla medesima deindicizzazione.
Rigettava peraltro la domanda di ritiro del libro dal commercio, assumendo che i convenuti avevano in effetti rispettato i parametri nell’ambito dei quali il diritto del giornalista di riferire le notizie (verità dei fatti, essenzialità dell’informazione e interesse pubblico) giustifica l’utilizzo anche di dati sensibili, quali sono quelli attinenti ad atti giudiziari di applicazione di misure cautelari.
F. ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi.
La sola B. ha depositato un controricorso
I – Il ricorso è affidato ai seguenti mezzi: (i) violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere il tribunale ritenuto provata la verità della notizia relativa all’intervenuta condanna del ricorrente a una grave pena detentiva sulla base di semplici fotocopie di atti dal medesimo disconosciute, senza invece tener conto dei certificati del casellario giudiziale non contenenti riferimento a condanne di sorta, e comunque senza motivare sul punto; (ii) omessa o illogica motivazione su fatti controversi e violazione dell’art. 17 del Regolamento 2016/679-UE, non avendo il tribunale spiegato perché una fantomatica condanna risalente al 2009 si sarebbe dovuta considerare ancora di interesse pubblico dopo 11 anni, nonostante non la stessa non compaia nei certificati del casellario; (iii) violazione dell’art. 8 della Cedu e art. 16 del TFUE, nonché in generale del Regolamento 2016/679-UE, in relazione al diritto al rispetto della vita privata e familiare e alla protezione di dati di carattere personale sotto il profilo del diritto all’oblio, non avendo il tribunale dato rilevanza al fatto che il libro in questione, già risalente al (…), narrerebbe fatti lontani di oltre 17 anni, che peraltro mai hanno avuto come epilogo una condanna per truffa, così da non poter esser diffusi su tutti i motori di ricerca Internet a compulsati a semplice digitazione del nome della persona coinvolta.
II. – Il primo motivo è inammissibile. Si assume violato l’art. 116 c.p.c., ma in cassazione la relativa doglianza è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore a essa non attribuibile (come quello di prova legale); o all’inverso ove il giudice, dinanzi a una prova soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, quando per l’appunto ciò non poteva esser fatto per legge (v. Cass. Sez. U. n. 20867-20). Di contro nel caso concreto semplicemente si assume che il giudice abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; sicché la censura resta inammissibile in rapporto alla violazione dell’art. 116, essendo suscettibile di esser composta solo come vizio motivazionale, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5. Di tale vizio, in rapporto al giudizio di legittimità, sono oggi stabiliti rigorosi limiti (v. Cass. Sez. U. n. 8053-14), dei quali il ricorrente non tiene alcun conto. In particolare non è specificato perché il fatto storico, associato alle asserite risultanze del certificato del casellario giudiziale, sarebbe stato da considerare decisivo a fronte di ciò che dalla sentenza si evince, vale a dire che vera doveva ritenersi la notizia circa l’intervenuta sottoposizione del F. a misura cautelare menzionante la condanna per truffa. E in ogni caso quel fatto – delle risultanze del casellario – è stato valutato, seppure implicitamente, dal tribunale nel contesto di un distinto giudizio di prevalenza da accordare agli elementi storici essenziali per la prioritaria tutela dell’attività d’informazione giornalistica rispetto al diritto alla riservatezza dell’interessato, secondo le previsioni contenute nel titolo XII del cod. privacy.
III. – Il secondo e il terzo mezzo, suscettibili di esame unitario, sono egualmente inammissibili e in parte anche infondati. Innanzi tutto giova dire che non rileva nel caso concreto, ratione temporis, il Regolamento UE citato dal ricorrente (cd. GDPR), poiché i fatti oggetto di doglianza sono collocabili in relazione alla pubblicazione del libro di indagine giornalistica “(omissis) “, che lo stesso ricorrente indica come avvenuta nel (…). Di nessuna rilevanza è poi il riferimento al diritto all’oblio, dal momento che non è minimamente avversata la prioritaria affermazione del Tribunale di Reggio Emilia a proposito dell’oggetto del processo, limitato alla questione del risarcimento del danno per illecito trattamento dei dati personali avvenuto mediante la pubblicazione del libro. Il diritto all’oblio si concretizza nella domanda di deindicizzazione di pagine web dai motori di ricerca (v. tra le più recenti Cass. n. 20861-21).
Ciò, con particolare riferimento alla rete Internet, implica un’azione rivolta ai soggetti che dei singoli motori siano titolari e che abbiano il controllo del programma accessibile dagli opportuni siti. Non certamente, invece, per legittimare una pretesa risarcitoria nei riguardi di chi abbia a suo tempo scritto un libro, le cui pagine siano state poi inserite anche in Internet, sulla base di fatti divenuti, secondo la personale visione dell’interessato, di nessun interesse collettivo.
IV. – Peraltro occorre anche dire, a confutazione del complessivo argomentare dell’istante, che in termini generali il diritto di ogni persona all’oblio, sebbene strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all’identità personale, deve essere poi bilanciato con il diritto della collettività all’informazione, al punto che in questi limiti, anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 17 Regolamento (UE) 2016/679, è stato ritenuto dalla giurisprudenza della Corte. Nei detti limiti, rispetto a persone che non rivestano la qualità di personaggi pubblici noti a livello nazionale, può – si è detto – essere disposta la deindicizzazione di articoli dai motori ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest’ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate (v. Cass. n. 15160-21, e v. pure, con ancor più specifiche delimitazioni, Cass. n. 395322). Ai fini che occupano, discorrere di oblio non possiede alcun fondamento, poiché l’oggetto del processo è costituito esclusivamente dall’asserito illecito trattamento dei dati personali compiuto mediante la pubblicazione del libro; di quel libro di cui unicamente è stato chiesto, in pregiudizio dei convenuti in riassunzione, il ritiro dal commercio. Ciò suppone doversi contenere l’indagine nel contesto dei limiti dell’attività di informazione giornalistica, e dunque nel perimetro dell’esimente dettata dal codice della privacy, che consente il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche anche senza il consenso dell’interessato, ai sensi dell’art. 137, comma 2, del codice privacy, purché con modalità tali da garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, della dignità dell’interessato, del diritto all’identità personale, e anche del codice deontologico dei giornalisti, che ha valore di fonte normativa in quanto richiamato dal detto D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 139 (v. Cass. n. 29584-20, Cass. n. 18006-18).
V. – L’accertamento relativo al non superamento dei suddetti limiti integra una questione di fatto, in ordine alla quale il giudice del merito ha svolto una motivazione congruente; la quale, proprio perché tale, si sottrae al sindacato di legittimità. Le spese seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 4.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
- Trattamento di dati personali mediante pubblicazione di un libro - Diritto all’oblio - Inconferenza - Limiti all’attività di informazione giornalistica - Sussistenza - Accertamento .
- Decreto Legisl. 30/06/2003 num. 196 art. 137 com. 2 CORTE COST., Decreto Legisl. 30/06/2003 num. 196 art. 139, Regolam. Consiglio CEE 27/04/2016 num. 679 art. 17.
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