1. Con decreto n. 367/2021, pubblicato il 14-2-2021 e notificato il 252-2021, la Corte d’appello di Milano ha respinto il reclamo proposto da A.G. avverso il decreto del Tribunale per i minorenni di Milano di rigetto della sua istanza diretta a conoscere l’identità dei suoi genitori biologici ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 28, comma 7, e successive modificazioni. La Corte d’appello, nel condividere il giudizio espresso dal primo giudice, ha rilevato che la madre naturale del reclamante non aveva potuto esprimere alcuna autorizzazione a rivelare la propria identità, sicché l’interpello aveva avuto esito negativo. In particolare, nel corso dell’interpello la donna aveva dimostrato una grave compromissione delle facoltà cognitive e volitive, non era stata in grado di esprimere la propria volontà e addirittura neppure di ricordare l’evento – nascita del figlio – che le veniva rappresentato. La Corte di merito ha, dunque, ritenuto che il diritto all’oblio della donna, inteso sia come suo diritto di dimenticare, sia come diritto di essere dimenticata, fosse ancora sussistente e meritevole di protezione, rimarcando che la madre al momento del parto non volle che fosse rivelata la propria identità, non aveva mai avuto contatti e notizie del figlio per oltre quarantanni, aveva trovato una sua compensazione attraverso l’oblio dell’evento della nascita del figlio e una rievocazione di quell’evento avrebbe potuto pregiudicare il suo attuale stato psichico.
2.Avverso questa sentenza A.G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi e illustrato con memoria, nei confronti della Procura Generale della Corte d’appello di Milano, che è rimasta intimata.
3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. La Procura Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), segnatamente della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 28, comma 7, per avere la Corte di appello affermato erroneamente che l’impossibilità della madre biologica di esprimere un valido consenso, stante le sue condizioni psichiche, fosse da equiparare al diniego opposto alla richiesta di revoca della volontà di mantenere l’anonimato, espressa a suo tempo dalla madre, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, ex art. 30, comma 1. A parere del ricorrente, l’impossibilità psichica di esprimere un consenso di fronte all’interpello circa la volontà di mantenere l’anonimato deve essere parificato all’impossibilità fisica, per decesso o irreperibilità, prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 28, comma 8, mentre la Corte territoriale non ha effettuato alcun bilanciamento tra il diritto della madre di mantenere l’anonimato e il diritto del figlio di conoscere le proprie origini, anche considerando la difficile situazione della madre, settantasettenne oligofrenica, la quale, piuttosto, potrebbe ricevere giovamento dall’interessamento attivo del figlio. Inoltre il ricorrente evidenzia di essersi dichiarato disponibile ad osservare ogni opportuna cautela eventualmente prescritta dal Giudicante nell’incontro con la madre, in modo da evitare ogni nocumento alla stessa, e di detta disponibilità nel decreto impugnato non vi era menzione.
2. Con il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte d’appello tenuto conto di quanto risultava dalla dichiarazione della madre naturale resa alla nascita, come riportato nel certificato integrale di nascita. Deduce il ricorrente di non sapere se la madre naturale fosse stata destinataria di una misura di protezione prevista dalla legge per le persone deboli. Afferma di aver chiesto alla Corte d’appello, con il reclamo, di statuire in ordine al valore giuridico della dichiarazione di anonimato resa da soggetto con patologia psichica grave, tanto da non potersi prendere cura del neonato, come assume avvenuto nella specie, considerato che la madre era affetta da oligofrenia grave, in base a quanto risultava dai documenti fornitigli. Ad avviso del ricorrente, la dichiarazione di volontà resa dalla madre al momento del parto avrebbe dovuto ritenersi viziata ab origine ex art. 428 c.c. e da ciò conseguirebbe immediatamente il diritto del ricorrente a conoscere l’identità della madre naturale, mentre detta questione non era stata esaminata dalla Corte d’appello.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. L’esame della doglianza necessita di un sintetico preliminare richiamo delle fonti normative che hanno introdotto nel nostro ordinamento la tutela del diritto della madre a rimanere anonima, nonché dell’evoluzione del quadro normativo per effetto dell’intervento additivo della Corte Costituzionale del 2013.
3.2. Premesso che nella specie la norma di riferimento è il R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, art. 73, comma 2, in quanto il ricorrente è nato il (omissis), come rimarcato dalla Procura Generale, il diniego di accesso del richiedente ai dati della madre, correlato per l’appunto, al diritto di anonimato di quest’ultima, è stato successivamente disciplinato dalla L. n. 184 del 1983, art. 28, comma 7, dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30, comma 1, e di seguito anche dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 93, commi 2 e 3. Come chiarito da questa Corte, deve affermarsi la perdurante attuale vigenza del principio già espresso dall’art. 28, comma 7 pur se modificato da una norma (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 177, comma 2) di seguito abrogata (D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, art. 27, comma 1, lett. c, n. 3), considerato che l’art. 93 citato non è stato abrogato e che alla disciplina delle norme in questione si è aggiunto l’intervento, per l’appunto additivo, di cui alla sentenza n. 278 del 2013 della Corte costituzionale (cfr. Cass. 22497/2021). Con la citata sentenza è stata dichiarata l’illegittimità della L. n. 184 del 1983, art. 28 sull’adozione dei minori, in quanto non prevede la possibilità per il giudice di interpellare, con riservatezza, la madre non nominata nell’atto di nascita, per l’eventuale assunzione di rapporti personali e non giuridici con il figlio. In particolare, il Giudice delle leggi ha riconosciuto all’adottato il diritto a conoscere le proprie origini e ha rilevato i profili di irragionevolezza nell’irreversibilità dell’anonimato della madre biologica, prevedendo la possibilità di un interpello di questa da attuarsi all’interno di un procedimento caratterizzato dalla massima riservatezza. In attesa di un auspicato intervento del legislatore nella materia, tuttora non avvenuto, la Corte Costituzionale ha, dunque, affermato, la necessità di effettuare il bilanciamento tra il diritto della madre all’anonimato, che si fonda “sull’esigenza di salvaguardare madre e neonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di fisica o la stessa incolumità di entrambi”, e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale – atteso che tale “bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale”. D’altronde il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche e delle circostanze della propria nascita ha trovato un sempre più ampio riconoscimento a livello internazionale e sovranazionale (cfr. Corte EDU, 25 settembre 2012, n. 33783, Godelli c. Italia, Corte EDU, n. 42326/2003, Odièvre c. Francia; Corte EDU, n. 53176/2002, Mikulid c. Croazia), tramite la valorizzazione del disposto dell’art. 8 CEDU, che protegge un diritto all’identità e allo sviluppo personale e il diritto di intessere e sviluppare relazioni con i propri simili e il mondo esterno. In linea con detti orientamenti, il Giudice delle leggi, con la citata sentenza del 2013, muovendo dalla distinzione tra “genitorialità giuridica” e “genitorialità naturale”, ha ritenuto “eccessivamente rigida” e in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost. la disciplina della L. n. 184 del 1983, art. 28, comma 7, come sostituito dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 177, comma 2, che consente alla madre la facoltà di dichiarare di non voler essere nominata, laddove non se ne preveda la revocabilità, in seguito alla richiesta del figlio, attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza (cfr. anche Cass. S.U. n. 1946/2017 in ordine all’applicazione dei suesposti principi). 3.3. Ciò posto, ritiene il Collegio di dover dare continuità all’orientamento espresso in una fattispecie analoga, da questa Corte (Cass. 22497/2021 citata). In particolare, è stato ribadito che il figlio nato da parto anonimo ha diritto di conoscere le proprie origini, ma il suo diritto deve essere bilanciato con il diritto della madre a decidere di conservare o meno l’anonimato. Di conseguenza, se, per un verso, deve consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, per altro verso occorre tutelare anche l’equilibrio psico-fisico della genitrice, sicché il diritto all’interpello non può essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta (così Cass. 22497/2021, citata).
3.4. Nel caso di specie, la Corte territoriale si è attenuta ai suesposti principi, ritenendo che l’interpello avesse avuto esito negativo, dopo aver accertato, in punto di fatto, che la donna aveva dimostrato una grave compromissione delle facoltà cognitive e volitive, non era stata in grado di esprimere la propria volontà e addirittura neppure di ricordare l’evento che le veniva rappresentato. La Corte di merito ha, inoltre, espresso il motivato convincimento che il diritto all’oblio della donna, inteso sia come suo diritto di dimenticare, sia come diritto di essere dimenticata, fosse ancora sussistente e meritevole di protezione. In particolare, ha rimarcato che la madre non aveva mai avuto contatti e notizie del figlio per oltre quarant’anni e, date le condizioni mentali in cui versava, aveva “trovato una sua compensazione attraverso l’oblio dell’evento della nascita del figlio”, mentre una rievocazione di quell’evento avrebbe potuto pregiudicare il suo attuale stato psichico.
4. Il secondo motivo è inammissibile.
4.1. Premesso che non può trovare applicazione il principio della cd. doppia conforme nei giudizi, quale è il presente, rientranti nell’ambito di cui all’art. 70 c.p.c., il ricorrente deduce che la dichiarazione di anonimato della madre è invalida ai sensi dell’art. 428 c.c. per essere stata la stessa, in allora, affetta da oligofrenia grave congenita e “assolutamente” non in grado di occuparsi del neonato (come da certificato del prof. R. alla nascita), sicché, ad avviso del ricorrente, la madre non era in grado neppure di esprimere la propria volontà di rimanere anonima.
4.2. Secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. 16347/2018; Cass. 27568/2017). Poiché la questione relativa all’incapacità della madre al momento della nascita, che implica anche accertamenti di fatto, non è stata esaminata dalla Corte di merito, nè se ne fa cenno nel decreto impugnato quale motivo di reclamo, era onere dell’odierno ricorrente indicare precisamente come, dove e quando detta questione fosse stata dedotta, riportando nel ricorso per cassazione la parte del reclamo di interesse. Detto onere non è stato adempiuto, essendosi limitato il ricorrente a un generico richiamo del reclamo, senza esporne lo specifico contenuto (pag. 3 ricorso), sicché non è consentito a questa Corte di valutare la fondatezza della censura e, prima ancora, la rituale introduzione del relativo thema decidendum in giudizio.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato, senza pronuncia sulle spese perché rivolto avverso la Procura Generale presso la Corte di Appello di Milano, peraltro non costituitasi. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
La Corte rigetta il ricorso.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
- Anonimato materno - Diritto del nato da parto anonimo di conoscere le proprie origini - Verifica della persistenza della volontà della madre di mantenere l’anonimato - Modalità attuative - Compromissione delle facoltà cognitive e volitive della madre - Rispetto del diritto all’oblio della donna - Fondamento - Fattispecie..
- Legge 04/05/1983 num. 184 art. 28 com. 7 CORTE COST., Legge 28/03/2001 num. 149 art. 24, DPR 03/11/2000 num. 396 art. 30, Decreto Legisl. 30/06/2003 num. 196 art. 93, Decreto Legisl. 10/08/2018 num. 101 art. 27.
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