• La Massima

La Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:

La mancanza di una norma di diritto intertemporale che, con riferimento alle donazioni anteriori alla data di entrata in vigore della legge n. 80 del 2005, individui tale data quale “dies a quo” del termine ventennale per l’esperimento del rimedio previsto dall’art. 563, comma 4, c.c., induce a ritenere che detto termine decorra in ogni caso, ai sensi del comma 1 dello stesso art. 563, dalla trascrizione della donazione.

(Cass. Civ. Sez. 2, n. 4523 del 11/02/2022 ).

  • La vicenda processuale

Con atto di citazione notificato il 12.2.2012 B.C.A. evocava in giudizio i genitori B.C. e M.E. innanzi il Tribunale di Padova, invocando l’accertamento della natura simulata di due atti di trasferimento immobiliari con i quali gli stessi avevano acquistato, in parti uguali, nel 1972 e nel 1973, diverse porzioni di un immobile di pregio, denominato palazzo (omissis). Secondo l’attore, il bene era stato acquistato con denaro di esclusiva proprietà del padre, (omissis) in Padova, e di conseguenza l’acquisto dissimulava in realtà una donazione, da parte del padre ed in favore della madre, della metà indivisa dell’immobile. L’attore invocava dunque l’accertamento della reale natura liberale dell’operazione, nonché della potenzialità lesiva che detto atto avrebbe potuto arrecare ai suoi diritti di legittimario in relazione alla successione paterna, per la tutela dei quali egli aveva notificato e trascritto atto di opposizione ai sensi dell’art. 563 c.c., comma 4.
Si costituivano con separate comparse i convenuti, resistendo alla domanda ed eccependo entrambi l’inammissibilità della domanda di simulazione per difetto di legittimazione ad agire del B.C.A. ; l’abuso dello strumento processuale; il difetto di integrità del contraddittorio, per il caso in cui la domanda fosse interpretata come diretta a far accertare una interposizione fittizia di persona, in conseguenza della mancata evocazione in giudizio dei venditori dell’immobile oggetto di causa; l’infondatezza, nel merito, della domanda. In via riconvenzionale, entrambi i convenuti invocavano la condanna del B.C.A. al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., evidenziando che il palazzo era stato ceduto a terzi per un valore notevolmente inferiore a quello di mercato, anche in conseguenza delle trascrizioni derivanti dalle iniziative giudiziarie poste in essere dal predetto. La sola M. invocava inoltre l’accertamento dell’intervenuto acquisto a suo favore, per usucapione, della metà indivisa dell’immobile oggetto di causa.
Con sentenza n. 760/2014 il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda principale di simulazione, ordinando la cancellazione della trascrizione dell’atto introduttivo del giudizio.
Interponeva appello l’originario attore avverso tale decisione e la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, n. 1746/2015, definita non definitiva e pronunciata nelle forme di cui all’art. 281 sexies c.p.c., rigettava il gravame, confermando la carenza di legittimazione ad agire in capo all’appellante. Secondo la Corte di Appello, il giudice di primo grado aveva correttamente rilevato che il rimedio previsto dall’art. 563 c.c., comma 4, si applica soltanto alle donazioni dirette, e non anche a quelle indirette, e solo a condizione che detti atti siano stati conclusi e trascritti dopo l’entrata in vigore della L. n. 80 del 2015. Sempre secondo la Corte distrettuale, pur considerando che, a norma dell’art. 1415 c.c., comma 2, il terzo può far valere la simulazione nei confronti delle parti, quando l’atto pregiudica i suoi diritti, il figlio non avrebbe legittimazione attiva, prima dell’apertura della successione dei suoi genitori, in relazione alla domanda di simulazione di una donazione compiuta dal genitore, ancora in vita, in favore di un terzo. Ciò, perché al figlio non competerebbe lalcun diritto sul patrimonio dei genitori prima dell’apertura della loro successione, neanche in qualità di futuro legittimario. Inoltre, la Corte di Appello ha ritenuto che, nel caso di donazione indiretta, il cespite non entra a far parte del patrimonio del disponente, ragion per cui il legittimario i cui diritti siano lesi da tale genere di liberalità non avrebbe comunque titolo per esercitare il rimedio di cui all’art. 563 c.c., comma 4, che è teso ad assicurare il recupero alla massa del bene che sia stato donato a terzi dal de cuius in vita. Al massimo, egli potrebbe proporre l’azione di riduzione della donazione, per far valere, nei confronti degli eredi del disponente, un diritto di credito avente ad oggetto il controvalore in denaro del bene oggetto di liberalità indiretta.
Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza B.C.A., affidandosi ad un unico motivo.
B.C. e Bu.Co. (quest’ultima, erede di M.E.) resistono con controricorso.
Il ricorso è stato chiamato una prima volta all’adunanza camerale del 18 maggio 2021, in prossimità della quale la parte ricorrente ha depositato memoria, e rinviato a nuovo ruolo affinché fosse trattato in udienza pubblica.
In prossimità di quest’ultima, la parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria, chiedendo la discussione orale, ai sensi di quanto previsto dal D.L. n. 137 del 2020, convertito in L. n. 176 del 2020.
Il P.G., nella persona del (omissis), ha depositato conclusioni scritte, concludendo per il rigetto del ricorso.

  • I Motivi della decisione

Con l’unico motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello, confermando la statuizione del Tribunale, ha ravvisato la sua carenza di legittimazione ad agire.
Ad avviso del ricorrente, infatti, l’azione era stata proposta ai sensi dell’art. 563 c.c., come modificato per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 80 del 2005, e pertanto avrebbe dovuto essere considerata utilmente esperibile, dal legittimario, anche prima dell’apertura della successione del disponente. In sostanza, il legittimario in pectore avrebbe diritto di conseguire, mediante l’azione di simulazione della liberalità indiretta compiuta dal proprio genitore in vita, la facoltà di esercitare il rimedio di cui all’art. 563 c.c., comma 4.
L’azione di simulazione, infatti, consentirebbe di recuperare il bene al patrimonio del disponente e di esercitare sullo stesso la pretesa di restituzione, anche dopo il decorso del termine di vent’anni dal compimento e dalla trascrizione dell’atto donativo, che costituisce l’effetto del rimedio di cui all’art. 563 c.c., comma 4. In altri termini, per effetto della novella del 2005, che ha introdotto il predetto rimedio, il legittimario non dovrebbe più – come prima – attendere il decesso del proprio dante causa per far valere la

natura simulata di un determinato atto di liberalità eseguito in vita dal genitore in favore di terzi, ma potrebbe attivarsi subito esercitando – e trascrivendo sull’immobile – tanto la domanda di simulazione, che l’opposizione di cui all’art. 563 c.c.. La prima domanda, infatti, costituirebbe il presupposto logico per il ricorso al rimedio di cui all’art. 563 c.c., poiché l’effetto recuperatorio assicurato da quest’ultimo, anche in relazione alle donazioni eseguite e trascritte oltre vent’anni prima del decesso del disponente, si produrrebbe solo a condizione che sia stata accertata la natura, appunto, donativa di un diverso negozio giuridico compiuto in vita dal de cuius.
La censura è infondata.
L’azione proposta dall’odierno ricorrente si fonda sul presupposto, in fatto, che il compendio immobiliare oggetto dei due atti di compravendita contestati, risalenti rispettivamente al 13.12.1972 e al 19.4.1973, in virtù dei quali i suoi genitori ne avevano acquistato, in parti uguali tra loro, la piena proprietà, fosse stato, in realtà, pagato per intero con denaro di proprietà esclusiva del padre. L’intestazione della metà indivisa del bene a favore della madre, pertanto, avrebbe integrato – nell’ipotesi prospettata dall’odierno ricorrente – un atto di liberalità da parte del padre in favore della madre. Rispetto a tale donazione il ricorrente – in quanto figlio, e dunque parente in linea retta, del disponente – avrebbe titolo per esperire, anche prima dell’apertura della successione del disponente, l’azione prevista dall’art. 563 c.c., come novellato per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 80 del 2005. Tale disposizione, in particolare, autorizza il coniuge ed i parenti in linea retta del disponente alla notificazione ed alla trascrizione di un atto di opposizione alla donazione, opponibile sia al donatario che ai suoi aventi causa, allo scopo di impedire il decorso del termine di vent’anni dalla trascrizione della donazione, entro il quale, a norma dell’art. 563 c.c., comma 1, il legittimario, salva la preventiva escussione dei beni del donante, può chiedere la restituzione dell’immobile anche agli aventi causa del donatario.
Per inquadrare correttamente la questione occorre considerare innanzitutto la natura dell’opposizione di cui all’art. 563 c.c., comma 4. Essa non assicura alcuna tutela attuale al legittimario, ma gli consegna soltanto un risultato ipotetico e futuro: per effetto dell’opposizione, infatti, il legittimario potrà esercitare, anche in relazione alle donazioni eseguite del suo dante causa e trascritte da oltre vent’anni, l’azione di riduzione della liberalità e, in caso di buon esito di quest’ultima, potrà esigere la restituzione del bene donato anche nei confronti del donatario o, nell’incapienza di questi, dei suoi aventi causa, giusta la disposizione di cui art. 563 c.c., comma 1. In altri termini, con l’opposizione di cui all’art. 563 c.c., comma 4, il legittimario si pone nella condizione per cui, se al momento di apertura della successione del suo dante causa la donazione risulterà effettivamente lesiva della quota di legittima, se verrà pertanto esperita fruttuosamente l’azione di riduzione di detto atto liberale, e se il donatario risulterà incapiente, allora egli legittimario potrà agire nei confronti degli aventi causa del donatario per pretendere, ai sensi dell’art. 563 c.c., comma 1, la restituzione del cespite oggetto della liberalità. Perché il legittimario possa esercitare la domanda di cui dell’art. 563, ridetto comma 1, dunque, devono concorrere tutte le suindicate condizioni, e deve esser stata eseguita e trascritta l’opposizione di cui al comma 4 della citata disposizione.
Quest’ultima, dunque, rappresenta un rimedio a contenuto essenzialmente cautelare, finalizzato ad assicurare, in favore del legittimario pretermesso, o leso nelle sue aspettative ereditarie, la possibilità di esercitare, nella ricorrenza di una serie di condizioni previste dalla norma, il diritto di seguito sul cespite donato dal proprio dante causa. Con l’opposizione di cui all’art. 563 c.c., comma 4, in definitiva, il coniuge o parente in linea retta del disponente evita che sul bene conteso si possano, per effetto degli atti di disposizione compiuti dal donatario, consolidare diritti di terzi, acquirenti di buona fede.
Resta tuttavia fermo che sia l’azione di riduzione della donazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4021 del 21/02/2007, Rv. 595399) che quella di restituzione di cui all’art. 563 c.c., comma 1, sono esperibili dal legittimario soltanto dopo l’apertura della successione del suo dante causa, poiché solo in quel momento sarà, in concreto, possibile verificare se l’atto di liberalità oggetto dell’opposizione possa, o meno, rivelarsi lesivo delle aspettative ereditarie del legittimario stesso.
Ciò posto, occorre verificare se questo schema sia applicabile, ed in quali limiti, agli atti di liberalità che siano realizzati dal disponente, in vita, con ricorso a strumenti diversi dalla donazione. Va infatti considerato che lo scopo donativo può essere realizzato anche attraverso la conclusione di negozi giuridici aventi caratteristiche formali non corrispondenti al tipo legale della donazione.
Sul punto, questa Corte ha ammesso l’esperibilità dell’azione finalizzata all’accertamento della natura simulata di un negozio giuridico dissimulante una donazione, anche prima dell’apertura della successione del donante, allo scopo di poter esercitare utilmente il rimedio di cui all’art. 563 c.c. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11012 del 09/05/2013, Rv. 626337, in motivazione, pagg. 16 e s.). Per poter utilmente trascrivere un atto di opposizione alla donazione asseritamente lesiva delle sue aspettative, infatti, il coniuge o parente in linea retta del disponente, le cui aspettative successorie siano poste a rischio da un atto di liberalità realizzato attraverso uno strumento negoziale diverso dal tipo legale della donazione, deve previamente ottenere un accertamento giudiziale della natura sostanzialmente donativa del predetto negozio. In tale evenienza, l’azione di simulazione non è finalizzata all’esercizio dell’azione di riduzione – insieme alla quale essa rimane pacificamente esperibile dopo l’apertura della successione del disponente, senza le limitazioni probatorie previste per le parti dall’art. 1417 c.c., in ragione della qualità di terzo del legittimario, rispetto al contratto simulato (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14562 del 30/07/2004, Rv. 575126; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24134 del 13/11/2009, Rv. 610015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 04/04/2013, Rv. 625756; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15510 del 13/06/2018, Rv. 649176) – nè a quella di restituzione di cui all’art. 563 c.c., comma 1, ma è diretta al più circoscritto scopo di conseguire una pronuncia di accertamento che costituisca, a sua volta, il presupposto necessario affinché il coniuge, o parente in linea retta, del disponente possa notificare, e soprattutto trascrivere, sul bene immobile oggetto del negozio dissimulato di donazione, l’atto di opposizione di cui all’art. 563 c.c., comma 4. Rimedio, quest’ultimo, a contenuto cautelare e preordinato ad assicurare al legittimario la sospensione del termine per la proposizione della domanda di restituzione di cui al già
richiamato a rt. 563 c.c., comma 1.

Dalle esposte considerazioni discende che l’azione di accertamento della natura simulata di un negozio giuridico dissimulante una donazione si atteggia diversamente, a seconda che essa sia proposta in relazione
ad una domanda di riduzione della liberalità, ovvero all’esercizio del rimedio di cui al richiamato art. 563 c.c., comma 4. Nel primo caso, l’azione è esperibile solo dopo la morte del donante, e l’erede è tenuto a fornire la prova dell’effettiva lesione del suo diritto di legittima; nel secondo caso, invece, il coniuge o il parente in linea retta del disponente non deve dimostrare l’esistenza della lesione delle sue aspettative successorie, essendo sufficiente l’idoneità, in astratto, dell’atto ad incidere sulle predette aspettative.
Il differente regime della prova nelle due ipotesi si giustifica in considerazione della diversità degli effetti che si producono a carico del donatario, o dei suoi aventi causa. L’esercizio vittorioso dell’azione di riduzione implica infatti l’inefficacia dell’atto di liberalità nei confronti dell’erede che agisce in riduzione, e dunque comporta un diretto pregiudizio, sia per il donatario, che, nell’incapienza di quest’ultimo, per i suoi aventi causa, nei confronti dei quali il legittimario pretermesso o leso nella sua quota riservata può esercitare l’azione di cui all’art. 563 c.c., comma 1. Al contrario, l’opposizione di cui all’art. 563 c.c., comma 4, ha il solo scopo di sospendere il decorso del termine ventennale per l’esercizio dell’azione di restituzione prevista dal comma 1 della disposizione da ultimo richiamata.
Per completezza, occorre anche considerare che l’intento liberale può, in concreto, essere realizzato mediante la messa a disposizione, da parte del disponente, di una somma di denaro necessaria a consentire, da parte del ricevente, l’acquisto di un bene immobile. In tali ipotesi, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, occorre distinguere il caso in cui la liberalità abbia ad oggetto il denaro, poi eventualmente utilizzato dal donatario per l’acquisto di un immobile, da quello – diverso – il cui il donante fornisca il denaro, quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che – in tale evenienza – costituisce esso stesso l’oggetto della donazione, in funzione dello stretto collegamento esistente tra elargizione del denaro ed acquisto del cespite (Cass. Sez. U., Sentenza n. 9282 del 05/08/1992, Rv. 478443; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5310 del 29/05/1998,
Rv. 515917; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12563 del 22/09/2000, Rv. 540389; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13619 del 30/05/2017, Rv. 644326). Solo nella ricorrenza della seconda ipotesi, evidentemente, si potrebbe ipotizzare un margine di esperibilità del rimedio di cui all’art. 563 c.c., comma 1, poiché esso – nell’assicurare la restituzione del bene – presuppone logicamente che la liberalità abbia ad oggetto quest’ultimo, e non il denaro utilizzato per il suo acquisto. Dal che consegue che, per poter esercitare l’azione di accertamento della natura simulata di un negozio dispositivo avente ad oggetto un immobile, in funzione dell’esperimento del rimedio di cui all’art. 563 c.c., comma 4, a sua volta finalizzato al successivo avvio della domanda di restituzione ex art. 563 c.c., comma 1, l’attore è tenuto a dimostrare che la liberalità indiretta abbia avuto ad oggetto direttamente il bene, e non invece il denaro, o altro valore, utilizzato per realizzare il successivo acquisto di un immobile.
In linea teorica, quindi, l’azione di simulazione di un contratto dissimulante una donazione di un bene immobile può essere esperita, dal coniuge o dal parente in linea retta del disponente, anche prima dell’apertura della successione di quest’ultimo, allo specifico scopo di consentire l’opposizione di cui all’art. 563 c.c., comma 4, e di rendere, in futuro, possibile l’esperimento della domanda di restituzione del bene donato di cui all’art. 563 c.c., comma 1, (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22457 del 09/09/2019, Rv. 655219).
A ciò, tuttavia, non consegue l’accoglimento della censura proposta dal B.C.A.. Quest’ultimo, infatti, ha proposto, con atto di citazione notificato il 12.2.2012, l’azione di simulazione nei confronti di due atti di compravendita, rispettivamente rogati il 13.12.1972 (atto a rogito del notaio in (omissis), rep. (omissis), fasc. (omissis) e al 19.4.1973 (atto a rogito del medesimo notaio, rep. (omissis), fasc. (omissis)) e debitamente trascritti. Al momento dell’esercizio della domanda, quindi, era ampiamente decorso il termine di venti anni dal compimento e dalla trascrizione dell’atto di liberalità, o presunto tale.
Il ricorrente, sul punto, dà atto che la novella del 2005 non ha previsto alcuna disposizione transitoria e propone, in coerenza con l’interpretazione che di tale norma ha fornito una parte della dottrina, una lettura evolutiva, nel senso di ritenere che il nuovo sistema si applichi a tutte le donazioni eseguite prima dell’entrata in vigore della L. n. 80 del 2005, a prescindere dalla loro data. Il termine ventennale entro il quale il legittimario pretermesso, o leso nei suoi diritti, può esercitare il rimedio di cui all’art. 563 c.c., comma 1, dunque, decorrerebbe dalla data di entrata in vigore della richiamata novella del 2005 (cfr. pag. 19 del ricorso). La nuova disciplina, in sostanza, non inciderebbe “… sulla donazione come fatto in sé considerato, bensì sul diritto del legittimario in pectore a neutralizzare gli effetti lesivi della donazione stessa, imponendogli un onere di opposizione ove voglia conservare integra la possibilità futura di agire in restituzione nei confronti dei terzi acquirenti senza limiti temporali” (cfr. pag. 17 del ricorso). L’argomento viene ripreso anche nella memoria depositata dal B.C.A. in prossimità dell’udienza pubblica, con la quale il ricorrente risponde alle conclusioni scritte depositate dal P.G. Secondo quest’ultimo, il rimedio di cui all’art. 563 c.c. sarebbe certamente applicabile anche alle donazioni eseguite prima dell’entrata in vigore della L. n. 80 del 2005, proprio a causa dell’assenza di norme di diritto intertemporale, ma soltanto a condizione che, in relazione a detti atti, non sia ancora decorso il termine di venti anni previsto del richiamato art. 563 c.c., comma 1 (cfr. pag. 3 delle conclusioni del P.G.). Il ricorrente contesta tale interpretazione, sostenendo che la disposizione di cui all’art. 563 c.c., comma 4, in quanto finalizzata alla salvaguardia non di un diritto, ma di una mera aspettativa, del legittimario, avrebbe necessariamente ad oggetto posizioni soggettive preesistenti tanto all’apertura della successione che all’entrata in vigore della novella del 2005. Il termine ventennale,
dunque, non potrebbe che essere computato a decorrere dal momento in cui il rimedio di cui all’art. 563 c.c., nel testo derivante dalla predetta novella del 2005, è divenuto esperibile, e quindi dalla data di entrata in vigore della predetta nuova disciplina.
La tesi non è fondata. L’argomento logico del ricorrente, in realtà, presupporrebbe l’esistenza di una norma di diritto intertemporale, che autorizzasse l’esperimento del rimedio previsto dalla novella del 2005 a tutte le donazioni anteriori, senza alcun limite di tempo, purché entro il termine di venti anni dall’entrata in vigore della nuova normativa. L’assenza di una simile disposizione, riconosciuta anche dallo stesso ricorrente, non consente tuttavia di accedere a tale ipotesi, poiché il tenore letterale della norma evidenzia che l’unico termine previsto per il ricorso all’opposizione di cui dell’art. 563 c.c., comma 4, è quello indicato dal comma 1, ovverosia venti anni dalla trascrizione della donazione. Termine che, nel caso di specie, era ampiamente decorso al momento dell’introduzione della domanda del B.C.A..
In definitiva, va affermato che l’opposizione di cui all’art. 563 c.c., comma 4, è esperibile, in relazione alle donazioni compiute dal disponente e potenzialmente lesive dei diritti del legittimario, anche prima dell’apertura della successione del primo. Quando essa ha ad oggetto un atto di liberalità indiretta, inoltre, il legittimario è titolato ad agire per ottenere l’accertamento della natura simulata del negozio dissimulante la liberalità potenzialmente lesiva delle sue aspettative. Tuttavia, poiché l’azione di restituzione prevista dall’art. 563 c.c., comma 1, è ammessa soltanto qualora non siano decorsi vent’anni dalla trascrizione della donazione, e considerato che l’opposizione di cui del richiamato art. 563 c.c., comma 4, è tesa ad assicurare, in favore del coniuge o parente in linea retta del disponente, unicamente la sospensione del termine ventennale di cui al comma 1, l’esercizio della stessa non è consentito in relazione ad atti di liberalità, diretti o indiretti, che siano stati trascritti da oltre venti anni. Non avrebbe, infatti, alcun senso logico ipotizzare, a favore del legittimario, l’esercizio di uno strumento cautelare finalizzato all’esperimento di una domanda non più proponibile.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

  • P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • Gli Argomenti trattati

- Opposizione di cui all’art. 563, comma 4, c.c. – Donazioni effettuate prima dell’entrata in vigore della legge che ha introdotto il rimedio – Decorrenza del termine ventennale – Dalla trascrizione degli atti di liberalità – Fondamento..

  • I riferimenti normativi

- Cod. Civ. art. 563 com. 4, Cod. Civ. art. 563 com. 1, Legge 14/05/2005 num. 80 CORTE COST..

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