1. Il giudizio trae origine dalla domanda proposta da T.V. innanzi al Tribunale di Lecce, con la quale chiese la risoluzione del contratto di vendita concluso con la Autosat s.p.a., avente ad oggetto un’autovettura, per la presenza di vizi che la rendevano inidonea all’uso cui era destinata.
1.1. La società convenuta eccepì preliminarmente la decadenza dall’azione e la prescrizione del diritto; contestò l’esistenza dei vizi e chiese il rigetto della domanda.
1.2. Il Tribunale, disattese le eccezioni di decadenza e di prescrizione, accolse la domanda dell’attrice e dichiarò risolto il contratto.
1.3. La Corte d’appello di Lecce, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda.
1.4. La corte distrettuale ritenne applicabile la disciplina consumeristica, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, attesa la qualità di consumatore dell’acquirente.
1.5. Accertò, ai sensi dell’art. 130, comma 2, del Codice del Consumo che la denuncia dei vizi era intempestiva in quanto proposta dopo due mesi dalla scoperta. A tale conclusione la corte di merito giunse ritenendo che l’onere della prova della tempestività della denuncia gravasse su parte acquirente mentre la T. non aveva provato l’osservanza del termine né vi era stato il riconoscimento dei vizi da parte del venditore. Gli interventi di riparazione effettuati sull’autovettura, nel periodo in cui era in garanzia, non implicavano il riconoscimento dei vizi della cosa tali da renderla inidonea all’uso cui era destinata; il difetto riscontrato consisteva in un maggior consumo dell’olio motore, causato dall’utilizzo urbano del mezzo, che, tuttavia, era conforme alla normativa comunitaria e poteva essere riparato con l’esborso della somma di Euro 2.700.00.
2. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso T.V. sulla base di tre motivi.
2.1. Ha resistito con controricorso l’Autosat s.p.a..
2.2. In prossimità dell’adunanza camerale del 21.9.2021, le parti hanno depositato memorie illustrative.
2.3. Il collegio è stato nuovamente riconvocato in data 20.12.2021.
1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata dal giudice di merito comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o dell’eccezione formulata dalla parte (Cass. n. 20718 del 2018).
1.3. Nel caso di specie, la corte territoriale, accogliendo l’appello, ha implicitamente rigettato l’eccezione di inammissibilità del gravame per genericità dei motivi.
1.4. Peraltro, il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale, come quella dell’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c., non può dar luogo al vizio d’omessa pronuncia, che è configurabile con esclusivo riferimento alle domande di merito e non può assurgere, pertanto, a causa autonoma di nullità della sentenza (Cass. n. 7406 del 2014; Cass. n. 14276 del 2017).
2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 c.c., del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 132, commi 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito accolto l’eccezione di decadenza per tardiva denuncia dei vizi, che invece sarebbe tempestiva e non coincidente con la raccomandata del 19.11.2008. Il primo ricovero del mezzo sarebbe avvenuto a distanza di quarantatre giorni dall’acquisto, e, ai sensi dell’art. 132 del Codice del Consumo, sussisterebbe una presunzione di difetto di conformità dell’autovettura tanto più che le riparazioni sarebbero avvenute senza alcun esborso di denaro da parte del consumatore. Nel valutare la tempestività della denuncia, non sarebbe necessario l’obbligo della forma scritta ma basterebbe, soprattutto nell’ambito della tutela consumeristica, la presa in carico dell’autovettura per la riparazione quale valida forma di riconoscimento tacito dei vizi.
3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490 e 1492 c.c., del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 130, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere la corte di merito rigettato la domanda di risoluzione del contratto nonostante le riparazioni fossero impossibili o eccessivamente onerose.
3.1. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
3.2. L’art. 135, comma 2, del codice del consumo prevede che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano “per quanto non previsto dal presente titolo”.
3.3. L’art. 1469 bis c.c., introdotto dall’art. 142 del codice del consumo, stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo “Dei contratti in generale” “si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”.
3.4. Esiste, dunque, nell’attuale assetto normativo della disciplina della compravendita, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica nel senso che trova applicazione innanzitutto la disciplina del codice del consumo (artt. 128 e segg.) mentre trova applicazione la disciplina in materia di compravendita solo per quanto non previsto dalla normativa speciale, attesa la chiara preferenza del legislatore per la normativa speciale ed il conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica (ex multis Cass. Civ. Sez. III, 30.5.2019, n. 14775).
3.5. Alle disposizioni civilistiche dettate agli artt. 1490 c.c. e segg., in tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di vendita si aggiungono, in una prospettiva di maggior tutela del contraente debole, gli strumenti predisposti dal codice del consumo.
3.6. Dal combinato disposto degli artt. 129 e segg., del summenzionato codice si desume che il venditore è responsabile nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene allorché tale difetto si palesi entro il termine di due anni dalla predetta consegna.
3.7. Il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all’art. 130 cit., i quali sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: egli potrà in primo luogo proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene e, solo in secondo luogo, nonché alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere una congrua riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto.
3.8. Resta fermo che, per poter usufruire dei diritti citati, il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi decorrente dalla data della scoperta di quest’ultimo.
3.9. Il Codice del Consumo prevede una presunzione a favore del consumatore, inserita nell’art. 132, comma 3, a norma del quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data.
3.10. Si tratta di presunzione iuris tantum, superabile attraverso una prova contraria, finalizzata ad agevolare la posizione del consumatore: ove il difetto si manifesti entro tale termine, il consumatore gode di un’agevolazione probatoria, dovendo semplicemente allegare la sussistenza del vizio mentre grava sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.
3.11. Superato il suddetto termine, trova nuovamente applicazione la disciplina generale posta in materia di onere della prova posta dall’art. 2697 c.c.: ciò implica che il consumatore che agisce in giudizio sia tenuto a fornire la prova che il difetto fosse presente ab origine nel bene, poiché il vizio ben potrebbe qualificarsi come sopravvenuto e dipendere conseguentemente da cause del tutto indipendenti dalla non conformità del prodotto.
3.12. Corollario di questo principio è che il consumatore deve provare l’inesatto adempimento mentre è onere del venditore provare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore (Sez. 3 -, Ordinanza n. 21927 del 21/09/2017, Sez. 2, Sentenza n. 20110 del 02/09/2013).
3.13. Il quadro normativo, come illustrato, ha portato la giurisprudenza di questa Corte a ritenere che la responsabilità da prodotto difettoso abbia natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato – ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 120 (cd. codice del consumo), come già previsto dal D.P.R. n. 224 del 1988, art. 8 – la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore – a norma dell’art. 118 citato codice – la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all’epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n. 29828; Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n. 29828).
3.14. D’altra parte è evidente che il venditore, a differenza del consumatore, può avvalersi più facilmente di mezzi organizzativi e delle competenze tecniche che consentono di effettuare la necessaria diagnosi del problema al fine di appurare l’esistenza del vizio.
3.15. Infatti, risulterebbe troppo oneroso per il consumatore assolvere l’onere probatorio mediante l’allegazione del vizio specifico da cui è affetto il prodotto in quanto ciò richiederebbe l’accesso a dati tecnici del prodotto nonché un’assistenza tecnica specializzata, che invece si trovano nella più agevole disponibilità del venditore (e che a questi non sarebbe eccessivamente oneroso chiedere di apprestare in occasione della diagnosi della natura del difetto di conformità denunciato).
3.16. A carico del consumatore grava l’onere di denunciare il difetto di conformità attraverso la tempestiva comunicazione dell’esistenza del difetto di conformità, senza che occorra la prova di tale difetto o che ne venga indicata la causa.
3.17. Tale disciplina è prevista dalla direttiva Europea n. 1999/44/CE sulle garanzie dei beni di consumo, di cui il Codice del consumo costituisce la legge di trasposizione in Italia.
3.18. La norma che viene in rilievo nella vicenda è il già menzionato art. 5 della Direttiva, il quale, in particolare al par. 3, prevede che, salvo prova contraria, i difetti di conformità, che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene, si presumano già esistenti, in linea di principio, al momento della consegna. 3.19. A conferma di tali conclusioni, appare utile qui richiamare la sentenza della Corte di giustizia 4 giugno 2015, causa c497/13 (nota come il caso Faber), in cui i giudici di Lussemburgo (cfr. punti 62 e 63) ricordano che “come emerge dalla formulazione dell’art. 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44, letto in combinato disposto con il suo considerando 19, e dalla finalità perseguita da tale disposizione, l’onere fatto gravare sul consumatore non può spingersi oltre quello consistente nel denunciare al venditore l’esistenza di un difetto di conformità. Quanto al contenuto di tale informazione, in questa fase non si può esigere che il consumatore produca la prova che effettivamente un difetto di conformità colpisce il bene che ha acquistato. Tenuto conto dell’inferiorità in cui egli versa rispetto al venditore per quanto riguarda le informazioni sulle qualità di tale bene e sullo stato in cui esso è stato venduto, il consumatore non può neppure essere obbligato ad indicare la causa precisa di detto difetto di conformità. Per contro, affinché l’informazione possa essere utile per il venditore, essa dovrebbe contenere una serie di indicazioni, il cui grado di precisione varierà inevitabilmente in funzione delle circostanze specifiche di ciascun caso di specie, vertenti sulla natura del bene in oggetto, sul tenore del corrispondente contratto di vendita e sulle concrete manifestazioni del difetto di conformità lamentato”.
3.20. Con la citata sentenza, la Corte di Giustizia fornisce una serie di ragguagli sull’interpretazione della Direttiva 1999/44/CE, sulla vendita e sulle garanzie dei beni di consumo, in particolare per quanto riguarda l’ambito di applicazione dell’art. 5 della medesima sulle modalità di denuncia del difetto di conformità da parte dell’acquirente del bene di consumo.
3.21. I giudici di Lussemburgo, innanzitutto, confermano che, data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si fonda la tutela che l’art. 5, par. 3, garantisce ai consumatori, tale disposizione debba considerarsi una norma equivalente a una norma nazionale di ordine pubblico, con possibilità del giudice di avvalersene applicandola anche d’ufficio (cfr., in tal senso, già in precedenza Corte giust. Ue, Sez. I, 6 ottobre 2009, causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, punti da 52 a 54, ove ulteriori riferimenti giurisprudenziali citati).
3.22. Quanto all’onere della prova gravante sul consumatore per la denuncia del difetto di conformità, la pronuncia precisa come tale onere debba essere limitato al mero obbligo di denuncia, senza necessità di produrre una prova dell’esistenza del difetto o di indicare la causa precisa del medesimo. Si ricorda, infatti, in proposito che la Direttiva 1999/44 consente agli Stati membri di prevedere che il consumatore, per fruire dei suoi diritti, debba denunciare al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui lo ha constatato. Secondo i lavori preparatori della Direttiva, tale possibilità mira a soddisfare l’esigenza di rafforzare la certezza del diritto, incoraggiando l’acquirente ad adoperare una “certa diligenza, tenendo conto degli interessi del venditore”, “senza istituire un obbligo rigoroso di effettuare di effettuare un’ispezione meticolosa del bene”.
3.23. La Direttiva medesima provvede poi ad alleggerire l’onere della prova gravante sul consumatore, introducendo la presunzione di esistenza del difetto al momento della consegna del bene, qualora esso si sia manifestato entro i sei mesi successivi. Per giovarsi di tale presunzione il consumatore deve, tuttavia, fornire una prova limitata circa la ricorrenza di determinati fatti.
3.24. In primo luogo, l’acquirente deve far valere e fornire la prova che il bene venduto non è conforme al corrispondente contratto, in quanto, ad esempio, non presenta le qualità convenute in quest’ultimo o, ancora, è inidoneo all’uso che ci si attende abitualmente per detto genere di bene. Deve essere dimostrata la sola esistenza del difetto, senza necessità di provarne la causa né un’origine imputabile al venditore.
3.25. In secondo luogo, il consumatore deve provare che il difetto di conformità si è manifestato, ossia si è palesato concretamente, entro il termine di sei mesi dalla consegna del bene. In tal modo viene dispensato dall’obbligo di provare che il difetto di conformità esisteva alla data della consegna del bene, posto che il manifestarsi di tale difetto, nel breve periodo di sei mesi, consente di supporre, come precisa la Corte di Giustizia, che, per quanto si sia rivelato solo successivamente alla consegna del bene, esso era già presente, “allo stato embrionale”, nel bene al momento della consegna.
3.26. Viene così a gravare sul venditore l’obbligo di produrre, se del caso, la prova che il difetto di conformità non fosse presente al momento della consegna del bene e la dimostrazione che il medesimo difetto trovi origine o causa in un atto o in un’omissione successiva a tale consegna.
3.27. Alla luce della disciplina interna e dell’Unione, questa Corte ha precisato che, ove la sostituzione o riparazione del bene non siano state impossibili né siano eccessivamente onerose, il consumatore, scaduto il termine congruo per la sostituzione o riparazione senza che il venditore vi abbia provveduto, ovvero se le stesse abbiano arrecato un notevole inconveniente, può agire per la riduzione del prezzo o per la risoluzione del contratto, pur in presenza di un difetto di lieve entità (Cassazione civile sez. II, 03/06/2020, n. 10453; Cass. Civ., n. 1082 del 2020; Cass. 18610/2017). 3.28. Non è quindi richiesto, nell’ipotesi in cui la riparazione non sia possibile, che il bene sia inidoneo all’uso cui è destinato ma che il difetto persista anche in seguito alle riparazioni.
3.29. Tale principio di diritto è stato richiamato anche da Cassazione civile sez. VI, 14/10/2020, n. 22146, secondo cui, in tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove l’acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non è preclusa la possibilità di agire successivamente per la risoluzione del contratto quando sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia tempestivamente provveduto.
3.30. Ai sensi dell’art. 130 del Codice del Consumo, infatti, le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene.
3.31. Nella disciplina consumeristica esiste, pertanto, una gerarchia dei rimedi a tutela del consumatore, distinti tra rimedi primari e rimedi secondari, ed è imposto al consumatore di attenersi a tale gerarchizzazione, pur essendo libero di scegliere il rimedio per lui più conveniente, una volta rispettato l’ordine dei rimedi in via progressiva.
3.32. Come emerge innanzitutto dal dato normativo, e come pacificamente si afferma in dottrina, nel caso di non conformità del bene al contratto, il consumatore è tenuto a chiedere in un primo momento la sostituzione ovvero la riparazione del bene, e solo qualora ciò non sia possibile, ovvero sia manifestamente oneroso, è legittimato ad avvalersi dei cd. rimedi secondari.
3.33. D’altra parte, che la scelta di un rimedio non comporti la preclusione per il consumatore ad avvalersi successivamente degli altri si ricava agevolmente dalla lettura della norma in esame, la quale stabilisce al comma 7 che “il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 6; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore”, denotando in tal modo la progressività dei rimedi predisposti dal legislatore a tutela dell’acquirente.
3.34. La riparazione e la sostituzione di un bene non conforme devono essere effettuate non solo senza spese, ma anche entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
3.35. Quanto alla forma della denuncia, va evidenziato che la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che la denunzia dei vizi della stessa da parte del compratore, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1495 c.c., può essere fatta, in difetto di una espressa previsione di forma, con qualunque mezzo che in concreto si riveli idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati (Cassazione civile sez. II, 03/04/2003, n. 5142; Cass. SS.UU. 15.1.1991 n. 328).
3.36. Tanto premesso in diritto, la sentenza impugnata, pur dichiarando espressamente di applicare il Codice del Consumo, ha invece deciso la causa secondo le norme codicistiche, peraltro in una prospettiva formalistica, senza tenere conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia e degli approdi della giurisprudenza interna, al fine di riequilibrare l’asimmetria contrattuale tra consumatore e professionista.
3.37. In particolare, la corte di merito non ha ritenuto rilevanti, ai fini della tempestività della denuncia dei vizi, i ricoveri dell’autovettura presso la concessionaria “per riparazione in garanzia”, sul rilievo che essi non comportassero un riconoscimento dei vizi da parte del venditore ed ha, invece, dato rilievo alla raccomandata a/r del 19.11.2008, diretta alla società, con cui il consumatore denunciò formalmente i vizi dell’autovettura.
3.38. In primo luogo, la denuncia dei vizi è stata ancorata all’obbligo della forma scritta che, non solo non è richiesta dalla disciplina generale ma, a fortiori, non può essere prevista nell’ambito dei contratti in cui è parte il consumatore. 3.39. La circostanza che l’autovettura fosse stata portata in concessionaria “per riparazioni in garanzia” costituiva una valida forma di denuncia dei vizi, essendo palese che il ricovero non fosse stato determinato da controlli di routine previsti dopo l’acquisto del mezzo.
3.40 La stessa Corte ha accertato che i ricoveri dell’auto per riparazioni in garanzia testimoniavano il tentativo di riparazione e sostituzione del bene, presupposto per l’applicabilità dell’art. 130 del Codice del Consumo.
3.41. E’ quindi evidente l’errore di diritto nell’affermare che i ricoveri dell’autovettura non equivalessero alla denuncia dei vizi, idonea a superare la decadenza, dopo aver accertato (pag. 5 della sentenza) che vi erano stati interventi volti alla riparazione del bene.
3.42. La Corte ha altresì affermato che i numerosi ricoveri in concessionaria non dimostrassero il riconoscimento dei vizi, incorrendo nella violazione della presunzione prevista dall’art. 132 del Codice del Consumo, a norma del quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data sicché gravava sul consumatore l’onere di allegare la sussistenza del vizio mentre la concessionaria aveva l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.
3.43. L’agevolazione probatoria di cui gode il consumatore, quale soggetto debole in un contratto asimmetrico lo esonerava dal provare la natura dei vizi e la causa che lo aveva generato, trattandosi di onere posto a carico della concessionaria, che aveva a disposizione l’assistenza tecnica per rimediare ai vizi del bene.
3.44. L’interpretazione della corte distrettuale non tiene conto che il consumatore è tenuto ad allegare l’esistenza del difetto di conformità e che, nel caso di specie, tale onere poteva essere assolto attraverso il ricovero dell’auto presso un centro di assistenza per la sua riparazione.
3.45. La corte di merito, pur avendo riconosciuto l’esistenza di riparazioni da parte della concessionaria, ha ritenuto che esse non comportassero riconoscimento dei vizi, nonostante fosse onere del consumatore effettuare la denuncia, senza necessità di indicare la causa del vizio.
3.46. Non si è quindi tenuto conto dell’agevolazione probatoria posta in favore del consumatore, derivante dalla presunzione di esistenza del difetto al momento della consegna del bene, qualora esso si sia manifestato entro i sei mesi successivi.
3.47. La Corte ha, inoltre, errato nel ritenere che la risoluzione potesse essere dichiarata solo nell’ipotesi in cui i vizi fossero ” di caratura tale da condurre all’inidoneità dell’uso del bene o al suo rilevante deprezzamento” sebbene il Codice del Consumo preveda che possa pronunciarsi la risoluzione del contratto anche per vizi di lieve entità che non siano stati riparati.
3.48. Nel caso di specie, la corte di merito afferma che l’impianto frenante era “accettabile ma da dotare di migliore tecnologia” e che la spesa totale per eliminare i difetti era pari ad appena Euro 2700,00.
3.49. Oltre ad affermare il difetto di conformità dell’impianto frenante, la Corte pone a carico del consumatore le spese necessarie per la riparazione dei vizi – pari ad Euro 2700,00 – che, nonostante i ripetuti interventi la concessionaria non è riuscita a riparare.
3.50. Va, infine evidenziato che, la risoluzione del contratto era stata correttamente proposta dopo l’esperimento dei rimedi ordinari in quanto l’attrice aveva inizialmente chiesto la riparazione e la sostituzione dell’autovettura.
3.51. La domanda di risoluzione, sulla base del Codice del Consumo, una volta esauriti i rimedi ordinari non richiede l’inidoneità dell’uso cui il bene è destinato ma l’assenza di riparazione del vizio. 3.52. Nel caso di specie, la stessa corte distrettuale afferma (pag. 5-6 della sentenza) che il vizio persisteva tanto che il consumatore avrebbe dovuto spendere la non insignificante somma di Euro 2.7000,00 per la riparazione dei difetti di una autovettura pagata Euro 22.000,00.
3.53. A ciò si aggiunga l’affermazione di “innumerevoli esorbitanti interventi in garanzia con fermo dell’auto per lunghi periodi”, attestante l’esistenza di un vizio originario in relazione al quale erano stati necessari i ricoveri del mezzo presso la concessionaria.
4. Il ricorso va pertanto accolto.
4.1. La sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione che si atterrà ai seguenti principi di diritto: “La denunzia dei vizi da parte del consumatore, anche ai sensi del Codice del Consumo, può essere fatta con qualunque mezzo che in concreto si riveli idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati”. “Si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data sicché il consumatore deve allegare la sussistenza del vizio mentre grava sul professionista l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita. Ove la sostituzione o riparazione del bene non siano state impossibili né siano eccessivamente onerose, il consumatore, scaduto il termine congruo per la sostituzione o riparazione, senza che il venditore vi abbia provveduto, ovvero se le stesse abbiano arrecato un notevole inconveniente, può agire per la riduzione del prezzo o per la risoluzione del contratto, pur in presenza di un difetto di lieve entità”. “La riparazione e la sostituzione di un bene non conforme devono essere effettuate non solo senza spese, ma anche entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore”
accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata, con rin vio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione
- Contratti del consumatore - Vizi della cosa venduta - Diritto del consumatore alla riparazione o alla sostituzione del bene - Modalità - Omissione - Diritto alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto - Sussistenza - Criteri.
- Decreto Legisl. 06/09/2005 num. 206, Cod. Civ. art. 1490, Cod. Civ. art. 1492.
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