Z.G. ha evocato in causa la T. dinanzi al Tribunale di Pinerolo, esponendo di esser proprietario di un immobile sito in (OMISSIS), e lamentando che la società convenuta aveva apposto illegittimamente – sulle pareti perimetrali dell’edificio dell’attore – taluni cavi e ganci di sostegno della linea telefonica nel periodo in cui lo Z. era stabilmente domiciliato in (OMISSIS).
Ha chiesto la rimozione degli impianti, con condanna al risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa e al pagamento di un’indennità giornaliera per l’occupazione abusiva dell’immobile.
La T. si è costituita in giudizio, sostenendo che l’impianto serviva anche l’immobile dell’attore e che, ai sensi del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 91 e dell’art. 8 delle condizioni generali di contratto, aveva titolo ad effettuare l’installazione.
Il tribunale ha accolto la domanda ed ha ordinato la rimozione dei cavi, condannando la T. al pagamento di Euro 1000 a titolo di indennizzo per l’occupazione.
Su appello della società soccombente, la Corte di Torino ha riformato la pronuncia, ponendo in rilievo che i nuovi cavi servivano anche l’utenza del ricorrente e che, con la sottoscrizione del contratto di abbonamento,
questi aveva accettato anche l’art. 8 delle condizioni generali – pattuizione da ritenersi conosciuta, perché pubblicate nell’avanti elenco delle guide telefoniche, e non vessatoria, poiché conforme a disposizioni di legge – prestando preventivamente il consenso all’apposizione dei cavi, non occorrendo anche l’imposizione di una servitù coattiva di appoggio.
La cassazione della sentenza è chiesta da Z.G. con ricorso in cinque motivi, illustrati con memoria.
T. resiste con controricorso.
Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che – al contrario di quanto affermato dal giudice territoriale – la circostanza che i nuovi cavi servissero anche l’utenza del ricorrente era stata ripetutamente contestata, unitamente alla sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 8 delle condizioni contrattuali, pattuizione che autorizzava T. a compiere quanto necessario per collegare l’utenza dell’abbonato alla rete telefonica e non anche ad effettuare installazioni funzionali alle utenze di terzi. Non poteva inoltre ritenersi che le condizioni di abbonamento, non prodotte in giudizio, potessero ritenersi conosciute ed accettate dal ricorrente in virtù della loro pubblicazione nell’avanti elenco della guida telefonica, essendo altrimenti assimilate ad un vero e proprio fatto notorio.
Il secondo motivo deduce la violazione del D.M. n. 197 del 1997, art. 21 e l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che, prima della collocazione del nuovo impianto da parte di T., l’immobile era servito da un cavo che era stato rimosso senza alcun consenso del ricorrente, sostituendolo con il nuovo impianto al fine di servire anche utenze di terzi. Era stata perciò apportata una modifica delle modalità di esecuzione del contratto, per la quale era necessario l’accordo delle parti ai sensi degli artt. 7 e 8 del citato D.M., non essendo sufficiente – a tal fine – l’originaria sottoscrizione del contratto di abbonamento.
Il terzo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 34, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il carattere vessatorio dell’art. 8, del contratto non poteva esser escluso in virtù della sua conformità alle disposizioni del regolamento ministeriale – atto di normazione secondaria – concernente le condizioni di abbonamento al servizio telefonico, poiché l’art. 34 del codice del consumo si riferisce solo alle condizioni che riproducano il contenuto di una norma di rango primario.
Quindi, la pattuizione doveva essere oggetto di trattativa individuale e doveva essere specificamente approvata per iscritto, a pena di nullità.
Il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione del D.M. n. 197 del 1997, art. 21 e D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 92, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza trascurato che i cavi apposti dalla T. servivano anche gli immobili vicini e non solo l’utenza del ricorrente, potendo essere installati solo previa costituzione di un diritto di servitù o con il consenso del proprietario dell’edificio.
Il quinto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 92, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza erroneamente ritenuto che il diritto alla rimozione gratuita degli impianti può essere ottenuta solo dall’utente che realizzi innovazioni nel proprio fondo e non anche in ogni altra ipotesi in cui detta installazione risulti illegittima.
Va esaminato preliminarmente il quarto motivo di ricorso, che è fondato per le ragioni che seguono.
La Corte d’appello ha considerato decisivo il fatto che i cavi e i fili di recente installazione servissero anche – e quindi non solo – l’utenza del ricorrente, ponendola in collegamento con rete telefonica.
Detti impianti erano dunque a servizio anche delle utenze dei vicini, collocate su edifici diversi da quelli su cui era avvenuto l’appoggio (non invece a servizio di distinte unità immobiliari facenti parte di un unico edificio in condominio). Anche nel controricorso si legge che tra i fruitori del nuovo impianto figurava lo stesso Z.(cfr. controricorso, pag. 8).
La pronuncia ha – quindi – dichiarato la legittimità della nuova installazione alla luce delle clausole del contratto di abbonamento (art. 8) e delle previsioni del D.M. n. 197 del 1997 (art. 21) che imponevano
all’utente di consentire gratuitamente l’attraversamento e l’accesso all’immobile di sua proprietà per realizzare i collegamenti alla rete del gestore, non reputando necessaria la costituzione di una servitù o di un diritto di natura reale ed anzi sostenendo che il consenso del ricorrente fosse implicito nella sottoscrizione del contratto di abbonamento.
Nessuno di tali assunti è conforme alla normativa in tema di installazione di cavi, fili ed impianti di T. con appoggio alla proprietà altrui.
Il D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 90, comma 1, stabilisce che gli impianti di T. hanno natura di pubblica utilità agli effetti della normativa in materia di pubblica espropriazione.
Il successivo art. 91 – nel testo vigente ratione temporis (solo recentemente modificato – dal D.L. n. 77 del 201, art. 40, comma 5 bis, convertito con L. n. 108 del 2021), dispone che, negli impianti di reti di
comunicazione elettronica di cui all’art. 90, commi 1 e 2, i fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi ai lati degli edifici ove non siano presenti finestre od altre aperture praticabili a prospetto.
Il proprietario o il condominio non può opporsi all’appoggio di antenne, di sostegni, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto nell’immobile di sua proprietà, occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini (comma 3) e deve sopportare il passaggio del personale dell’esercente il servizio, che dimostri la necessità di accedervi per l’installazione, riparazione e manutenzione degli impianti stessi (comma 4).
La disciplina distingue – dunque – le ipotesi in cui l’imposizione di pesi alla proprietà altrui riflette una mera limitazione della proprietà altrui (art. 91), dai casi in cui è necessario – in mancanza del consenso del proprietario – il ricorso alla procedura espropriativa per costituire una vera e propria servitù (art. 92).
Tra le prime ipotesi, rientrano il passaggio di fili e cavi senza appoggio al di sotto o al di sopra della proprietà, purché non avvenga dinanzi ai lati di edifici muniti di finestre o altre aperture (Cass. 15683/2006), e il passaggio nell’immobile da parte del personale del concessionario che dimostri la necessità di accedervi per l’installazione, riparazione e manutenzione degli impianti “di cui sopra”.
Con effetto solo dal 31.7.2021, il comma 2 bis della norma qualifica come ulteriore limitazione della proprietà anche la facoltà del concessionario di effettuare gli interventi di adeguamento tecnologico della rete di accesso, volti al miglioramento della connessione e dell’efficienza energetica. Tale adeguamento non si configura come attività avente carattere commerciale e non costituisce modifica delle condizioni contrattuali per l’utente finale, purché consenta a quest’ultimo di continuare a fruire di servizi funzionalmente equivalenti, alle medesime condizioni economiche già previste dal contratto in essere. Trattasi di disposizione innovativa, che trova applicazione non per qualsiasi intervento, ma – specificamente – solo per quelli di adeguamento
tecnologico della rete di accesso.
È invece necessaria l’adozione di un provvedimento ablatorio, impositivo di una vera e propria servitù ove il passaggio sia previsto con appoggio di fili, cavi ed impianti connessi alle opere di cui all’art. 231 o quando i cavi senza appoggio sia posti in corrispondenza di un lato dell’edificio ove sono collocate aperture (Cass. s.u. 571/1991; Cass. 15683/2006), ovvero se quelli in appoggio non servano solo alle utenze del proprietario del fondo su cui essi insistono (Cass. 12245/1998; Cass. 12469/1998; Cass. 12470/1998; Cass. 124681998; Cass. 12467/1998; Cass. 2505/1998; Cass. 4517/2021).
Di conseguenza, il proprietario ha l’obbligo di concedere gratuitamente il passaggio e l’appoggio, sul proprio fondo, delle condutture telefoniche necessarie a collegare il suo apparecchio telefonico (ed oggi anche per l’adeguamento tecnologico della rete volti al miglioramento della connessione e dell’efficienza energetica), mentre detto obbligo non sussiste (e compete al titolare una giusta indennità) quando il passaggio e l’appoggio siano destinati a 21 collegare anche apparecchi telefonici di terzi proprietari o inquilini di immobili
vicini e risulti che l’essere le condutture telefoniche anche al servizio di altri, oltreché del proprietario del fondo attraverso cui passano, comporti per lui un sacrificio economicamente apprezzabile (Cass. 241/1988).
È con riferimento a tale ultima ipotesi che si è ritenuto che la cd. servitù telefonica di “passaggio con appoggio”, sull’altrui fondo, di fili e simili non costituisca una servitù in senso tecnico (per mancanza del requisito della predialità e quindi dell’esistenza di un fondo dominante), ma “un diritto reale di uso” rientrante “tra i pesi di diritto pubblico di natura reale gravanti su beni”.
Di conseguenza, la circostanza che – nel caso concreto – l’impianto servisse non solo l’immobile del ricorrente (già in passato collegato alla rete da altro cavo), ma anche immobili vicini rendeva indispensabile il suo consenso alla nuova installazione, dovendosi costituire un diritto di natura reale.
Neppure era sufficiente che le condizioni di abbonamento – a prescindere dalla loro vessatorietà –
prevedessero la gratuità dell’attraversamento dei cavi per il collegamento della singola utenza alla rete
telefonica, non riguardando detta pattuizione il diverso caso in cui i cavi fossero installati anche a servizio di
altri immobili.
In definitiva, l’installazione, eseguita senza l’accordo del ricorrente e senza il ricorso alle procedure previste per legge, non poteva considerarsi – nella situazione considerata – affatto legittima.
Per tali ragioni è accolto il quarto motivo di ricorso, con assorbimento delle altre censure.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, in
diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
accoglie il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per la
regolazione delle spese di legittimità.
- Servitù - prediali - servitù coattive - passaggio di cavi e di condutture.
- Decreto Legisl. 01/08/2003 num. 259 art. 90 CORTE COST., Decreto Legisl. 01/08/2003 num. 259 art. 91 CORTE COST., Decreto Legisl. 01/08/2003 num. 259 art. 92 CORTE COST., Decreto Legisl. 01/08/2003 num. 259 art. 93 CORTE COST., Cod. Civ. art. 1032.
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