Con atto di citazione notificato nel giugno 2003 M.T., G.M. e Gr.Mo. evocavano in giudizio S.C. innanzi il Tribunale di Busto Arsizio, invocando l’accertamento dell’intervenuta usucapione, in loro favore, della piena proprietà di un fondo sito nel territorio del Comune di Alfa. Nella resistenza della convenuta, il Tribunale, con sentenza n. 455/2016, rigettava la domanda, ritenendo insufficiente, ai fini della prova del possesso ad usucapionem, la mera coltivazione del fondo.
Interponevano appello avverso detta decisione le originarie attrici e la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, n. 384/2017, resa nella resistenza della S., riformava la decisione di prime cure, accogliendo la domanda di usucapione.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione S.C., affidandosi ad un unico motivo, articolato in diversi profili.
Resistono con controricorso M.T., G.M. e Gr.Mo..
La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
Con il l’unico motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140,1141,114,1158,1159,1165 c.c., artt. 184,346,115,116,246 e 346 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo. La censura, in realtà, si articola in sei distinti profili.
In primo luogo, la S. contesta l’affermazione secondo cui il teste D., che aveva curato i suoi interessi in passato, aveva un potenziale interesse alla causa e fosse dunque inattendibile.
In secondo luogo, la ricorrente si duole della mancata considerazione, da parte della Corte distrettuale, che l’occupazione del terreno da parte degli odierni controricorrenti, e prima di essi del loro dante causa, era dovuta a mera tolleranza della S., come – tra l’altro – confermato proprio dalla testimonianza D.
In terzo luogo, la S. lamenta l’erronea valorizzazione, da parte del giudice di seconda istanza, della semplice coltivazione del fondo, che di per sé non costituirebbe elemento sufficiente ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem.
In quarto luogo, la ricorrente si duole dell’erronea valutazione delle dichiarazioni da lei rese in sede di interrogatorio.
In quinto luogo, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente configurato l’usucapione del terreno ai sensi dell’art. 1159 c.c., senza considerare che la coltivazione del fondo non rileva ai fini della prova del possesso utile ad usucapire.
Infine, la S. contesta la ricostruzione operata dal Giudice di merito, poiché gli odierni controricorrenti potevano al massimo essere ritenuti meri detentori dell’immobile, ma non possessori.
Il terzo, quinto e sesto profilo dell’unica articolata doglianza in esame, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
Va, sul punto, ribadito il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui non è sufficiente la mera coltivazione del fondo, ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem, perché essa “…non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l’intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l’attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario” (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6123 del 05/03/2020, Rv. 657277; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18215 del 29/07/2013, Rv. 627301).
La coltivazione deve quindi essere accompagnata da “univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; l’interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve strinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17376 del 03/07/2018, Rv.649349; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4404 del 28/02/2006, Rv. 587753, secondo cui “L’accertamento, in concreto, degli estremi dell’interversione del possesso integra un’indagine di fatto, rimessa al giudice di merito, sicché nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte di Cassazione di prendere direttamente in esame la condotta della parte, per trarne elementi di convincimento, ma si può solo censurare, per omissione o difetto di motivazione, la decisione di merito che abbia del tutto trascurato o insufficientemente esaminato la questione di fatto della interversione”).
Nel caso di specie, la Corte di Appello non ha condotto alcuna valutazione ulteriore rispetto alla verifica del mero fatto che i controricorrenti avessero coltivato il terreno, ed ha erroneamente ritenuto questo elemento sufficiente ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem. Merita di essere precisato, in proposito, che il possesso utile ai fini della configurazione dell’acquisto del diritto di proprietà a titolo originario per usucapione non si risolve nella mera utilizzazione del fondo, ma deve concretarsi in atti idonei ad esprimere, in concreto, l’esercizio della signoria uti dominus sul bene. Sotto questo profilo, poiché la connotazione principale del diritto di proprietà è la facoltà di escludere i terzi dal godimento del bene che ne costituisce oggetto (cd. ius excludendi alios), il giudice di merito deve accertare, in concreto, se il soggetto che si trova in relazione materiale con la res abbia dimostrato non soltanto di averlo utilizzato, ma di averne, per l’appunto, precluso ai terzi la fruizione.
Con specifico riferimento ai fondi agricoli, che – per loro stessa natura – sono destinati allo sfruttamento agricolo, si pone il problema della modalità con la quale, in concreto, lo ius excludendi alios possa, o debba, essere manifestato. Al riguardo, va considerato che la più eclatante espressione del diritto di proprietà è rappresentata dalla facoltà di chiudere il fondo, ai sensi dell’art. 841 c.c. La recinzione materiale del fondo agricolo, quindi, costituisce la più importante espressione dello ius excludendi alios. Ciò non esclude, naturalmente, che la prova del comportamento idoneo ad escludere i terzi dal godimento del bene possa essere conseguita aliunde; tuttavia, è certo che la recinzione materiale del terreno costituisca una manifestazione non equivoca della volontà del soggetto che si trovi in relazione materiale con il bene di escludere i terzi da qualsiasi relazione con esso. Pertanto, colui che si trovi nella detenzione di un fondo agricolo, del quale intenda usucapire la piena proprietà, è onerato di dimostrare di aver compiuto tutti gli atti idonei ad esprimere, in concreto, il suo diritto di proprietà su detto cespite, e dunque di aver escluso i terzi dal relativo godimento; esclusione che trova la sua primaria espressione, come già detto, nella recinzione del fondo.
- Diritti reali - Proprietà - Modi di acquisto titolo originario, usucapione e esclusione..
- Cod. Civ. artt. 1158, 2697.
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